di Luca Bianchi
su Repubblica Palermo
Mettere al centro della riflessione, come fa oggi Repubblica, il futuro dell’Isola è già di per sé una buona notizia. Dopo troppi anni in cui sembrava che il declino (industriale, demografico, occupazionale) fosse un destino inesorabile, i segnali di ripresa che l’economia siciliana ha registrato nel post-Covid dimostrano invece che una nuova stagione di sviluppo è possibile. Non scontata, ma possibile.
Marx, non Karl ma il geniale comico Groucho, diceva: «Mi interessa molto il futuro: è lì che passerò il resto della mia vita». Battuta fulminante per togliere retorica al termine futuro e che richiama l’urgenza di assumere scelte che dovranno avere effetti su questa e sulle prossime generazioni. E se vogliamo guardare al futuro, dobbiamo capire quale parte di questa ripresa può realmente offrire, se adeguatamente accompagnata da una visione strategica, una reale prospettiva di crescita in grado di ricreare sul territorio quelle opportunità che molti giovani siciliani hanno smesso di cercare, scegliendo l’opzione dell’emigrazione verso territori più dinamici.
Da una parte è innegabile che la gran parte dei posti di lavoro creati in questa stagione di ripresa sono concentrati nelle costruzioni, trainate dal super-bonus e poi dal Pnrr e dal boom del turismo. Troppo spesso si tratta di lavori a bassa retribuzione, con contratti precari che sicuramente alleviano la pressione della disoccupazione, ma che non offrono prospettive stabili per i ragazzi che hanno investito sulla loro formazione. Non può essere un’occupazione stagionale o la gestione di un bed&breakfast, al di là di singole esperienze di successo, il futuro dei giovani laureati siciliani. Ma, se guardiamo dentro ai numeri dell’occupazione, vediamo che c’è anche altro.
Il dato più interessante è senz’altro il dinamismo di alcuni settori industriali, l’agroalimentare e l’elettronica soprattutto, e la crescita degli occupati nei servizi avanzati a partire dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Due settori che legano le loro prospettive di crescita alla capacità di fare innovazione nei processi e nei prodotti. Nel caso dell’agroalimentare si tratta di coniugare il patrimonio qualitativo dei prodotti locali con le sfide dei cambiamenti climatici e della capacità di penetrare nei mercati internazionali. I settori di frontiera delle alte tecnologie sono l’altro driver decisivo. L’investimento Enel-3Sun a Catania e ora la prospettiva di un nuovo grande investimento St-Microelectronics possono fare del polo di Catania un hub europeo dell’industria solare. A questo si aggiungono molte esperienze di start up siciliane che, anche grazie all’investimento fatto in questi anni sulla banda larga, fanno emergere segnali di vitalità diffusi in varie parti del territorio siciliano.
Siamo dunque di fronte ad un bivio decisivo. Incassare il dividendo politico della crescita senza rischiare, sperando che il tempo della finanza espansiva prosegua, o scommettere sulle aree di innovazione con le importanti risorse disponibili. Se la scelta è la seconda occorre però avere il coraggio di cambiare anche il target delle politiche pubbliche. Una nuova stagione deve rompere con il passato e restituire protagonismo alle nuove generazioni.
Favorire il diritto allo studio dei giovani siciliani e supportare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono gli assi fondamentali per contrastare l’emigrazione e il declino demografico; ed è anche la condizione per garantire capitale umano formato necessario ad attrarre investimenti nei settori innovativi.
La scelta, ce lo insegna l’economista Albert Hirshman, è tra Exit e Voice: «Quando i cittadini smettono di credere nella possibilità di cambiare le cose con la propria voce, scelgono l’uscita». Troppi ragazzi siciliani, nonostante la congiuntura positiva, stanno scegliendo di andare via. Dare voce alle loro potenzialità è la sfida del futuro.