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21 Agosto 2024

Territorio frammentato, serve un progetto. La priorità è rafforzare le infrastrutture

Luca Bianchi, direttore generale della Svimez, l’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, il vostro ultimo rapporto sull’economia delle Regioni italiane mostra una crescente difficoltà del Centro Italia, e in particolare della dorsale tirrenica. Cosa sta succedendo?
«C’è sicuramente un problema d’identità».

Identità?
«E in corso una nuova polarizzazione tra Nord e Sud, e in questo contesto è mancata un’idea di sviluppo anche per l’asse centrale. Che paga, ritengo, un grande problema di collegamenti infrastrutturali. Nessuno ne parla, ma c’è un’assenza di connessioni orizzontali».

Il Centro è fuori dalle grandi direttrici?
«Ci si è concentrati soprattutto sullo sviluppo dei collegamenti che da Nord vanno a Sud, pochissimo su quelli che vanno da Ovest a Est. Manca una connessione tra i territori dell’Italia centrale. Si soffre soprattutto sull’asse Umbria-Lazio-Toscana-Abruzzo e Marche. Si tratta di territori che nei fatti non sono connessi. Manca un disegno di sviluppo complessivo. In questo quadro ogni Regione ha evidenziato una sua specializzazione abbastanza separata dalle altre. Un contesto nel quale ci sono stati dei fattori di crisi specifica».

Quali sono questi fattori?
«La deindustrializzazione, per esempio, che ha riguardato in maniera marcata l’Umbria con l’area industriale di Terni. C’è una enorme sofferenza per le aree interne appenniniche, che non hanno ricevuto nessun intervento compensativo di collegamento. L’unica Regione che forse riesce a salvarsi da questa situazione di crisi diffusa è il Lazio che, in qualche misura, vive intorno a Roma. Ma anche il Lazio nasconde i suoi problemi».

Di che problemi si tratta?
«Nelle province di Frosinone e Latina c’è un peggioramento molto rilevante della situazione economica e sociale. C’è una sorta di meridionalizzazione di questa parte della Regione».

In che senso meridionalizzazione?
«C’è per esempio un problema legato alla legalità. Nella direttrice che va da Nettuno ad Anzio c’è un gran numero di Comuni che sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. Tutta la provincia di Frosinone soffre invece della crisi dell’automotive».

Se si leggono in controluce i rapporti della Banca d’Italia sull’economia delle Regioni del Centro, l’impressione è che il contributo maggiore al momento arrivi da questo boom turistico?
«È un fattore di crescita economica importante ma fragile dalpunto di vista strutturale. È vero che c’è un boom di presenze, ma come valore aggiunto del settore siamo ai livelli del 2019, non c’è stato un salto enorme. Lo si vede nelle grandi città come Roma e Firenze, ma anche in Umbria. E comunque sia, il turismo non riesce a sostituire come valore quello che si è perso in termini di manifattura. Il turismo è un’attività a basso valore aggiunto».

Il problema centrale resta la deindustrializzazione?
«Sì, l’indebolimento del manifatturiero pesa. Il modello basato sul turismo e su risorse locali non può reggere da solo lo sviluppo».

Oggi ha ancora senso associare il Centro al Nord, o c’è in effetti una meridionalizzazione in atto?
«Il problema è diverso. C’è una frammentazione del Centro. Alcuni territori, come il basso Lazio e l’Umbria, si stanno effettivamente avvicinando al Sud. Altri rimangono agganciati al Nord, come la Toscana, senza però averne il dinamismo. Poi c’è Roma che resta un micro cosmo a parte. Ma quello che attualmente manca è un’idea politica di sviluppo dell’area centrale del Paese. Sarebbe forse il momento di iniziare a pensarci».

Leggi l’intervista su “Il Messaggero”

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