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29 Gennaio 2021

Piano nazionale di ripresa e resilienza 1

La sintesi della memoria Svimez sulla proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza

Dall’emergenza alla ripartenza: il ruolo dell’Europa e le sfide per l’Italia

Con il progressivo diffondersi della pandemia in tutta Europa, le politiche comunitarie hanno subito un’evoluzione profonda, imboccando una direzione che difficilmente sarebbe stata adottata senza la pressione esercitata dall’eccezionalità della crisi economica e sociale. A differenza della risposta tardiva e incerta alla crisi finanziaria del 2008-2012 – che contribuì a mettere a rischio la tenuta dell’Eurozona – l’Europa ha temporaneamente accantonato l’austerità, inaugurando un inedito regime di flessibilità di bilancio.

Nella fase iniziale della crisi, le istituzioni europee hanno lavorato per ampliare i margini di intervento delle politiche di bilancio nazionali, sospendendo i vincoli imposti dalla normativa sugli aiuti di Stato e dalle regole fiscali del Patto di Stabilità e Crescita (Psc). L’allentamento del PSC ha consentito all’Italia di mobilitare risorse ingenti per far fronte agli effetti della pandemia: solo nel 2020, i cinque principali decreti emergenziali (Cura Italia, Liquidità, Rilancio, Agosto e Ristori) hanno stanziato oltre 100 miliardi di euro. Secondo le stime della Svimez, i benefici delle misure emergenziali si sono concentrati nel Centro-Nord (circa il 70% delle risorse contro il 30% destinate al Mezzogiorno), in misura superiore al peso demografico dell’area.

Parallelamente, sono stati introdotti ampi margini di flessibilità nei regolamenti dei Fondi strutturali, consentendo di reindirizzare le risorse europee verso il contrasto all’emergenza sanitaria, economica e sociale. L’Italia ha colto appieno questa opportunità: l’operazione di riprogrammazione dei Fondi strutturali, per un valore di circa 12 miliardi di euro, ha rafforzato la capacità di risposta alla crisi finanziando interventi in cinque ambiti chiave: Emergenza sanitaria; Istruzione e formazione; Sostegno alle attività economiche; Lavoro; Inclusione sociale.

Successivamente, non senza le resistenze dei Paesi meno inclini alla solidarietà, le istituzioni europee hanno compiuto un passo decisivo nella direzione della mutualizzazione del debito, adottando strumenti comuni a sostegno delle politiche nazionali. Prima è stato il turno del pacchetto BEI-SURE-MES. Poi è arrivata la decisione storica di conferire alla Commissione Europea il potere di contrarre prestiti sui mercati dei capitali per conto dell’Unione, al fine di rafforzare il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 con 750 miliardi di euro aggiuntivi attraverso il programma Next Generation EU (NGEU).

Next Generation EU: un cambio di paradigma

Next Generation EU ha introdotto due innovazioni di portata storica: la creazione di debito comune europeo, seppur con limiti temporali e vincoli di destinazione delle risorse; l’adozione di criteri solidali di allocazione delle risorse, che tiene conto delle differenti esigenze dei singoli Stati membri.

Il Recovery rappresenta il principale programma di NGEU, con una dotazione di 672,5 miliardi di euro in prestiti e sovvenzioni, destinati al finanziamento dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza degli Stati membri. Le priorità condivise a livello europeo includono:

Coesione economica, sociale e territoriale, migliorando la resilienza e la capacità di aggiustamento degli Stati membri;

Mitigazione dell’impatto socio-economico della crisi, con un focus sulle fasce più vulnerabili della popolazione;

Sostegno alle transizioni verde e digitale, per ripristinare il potenziale di crescita e favorire la creazione di posti di lavoro nel periodo post-pandemico.

L’ambizione della nuova Europa carica le politiche nazionali di una responsabilità senza precedenti: il Pnrr rappresenta un’occasione irripetibile per l’Italia per avviare una vera e propria ricostruzione, coniugando crescita nazionale e coesione territoriale. Questa sfida impone di affrontare due questioni chiave:

La condizione femminile e il ruolo delle nuove generazioni, che devono diventare centrali nella ripartenza;

L’orientamento dei processi economici verso una maggiore sostenibilità intergenerazionale, ambientale e sociale.

L’esperienza insegna che le disuguaglianze economiche e sociali costituiscono un freno strutturale alla crescita del sistema-Paese. Per questo motivo, la Svimez individua due priorità fondamentali per il Pnrr:

Riavviare un percorso sostenibile di riequilibrio territoriale, garantendo pari accesso ai diritti di cittadinanza su tutto il territorio nazionale;

Definire un disegno unitario di politiche industriali a declinazione territoriale, valorizzando la transizione verde e promuovendo una strategia euro-mediterranea per rilanciare il ruolo dell’Italia nello scenario geopolitico europeo.

L’Italia si trova di fronte a una sfida storica: utilizzare al meglio le risorse del Pnrr per superare i ritardi strutturali accumulati durante il “ventennio perduto”, affrontando le trasformazioni economiche e sociali con una visione di lungo periodo. Solo attraverso un’efficace integrazione tra politiche nazionali e strategie europee, sarà possibile convertire la crisi in un’opportunità di crescita sostenibile, equa e inclusiva, riducendo le fragilità che da troppo tempo penalizzano il sistema produttivo e sociale del Paese.

Next Generation Italia: le valutazioni della Svimez

La Svimez riconosce i miglioramenti introdotti nella nuova proposta di Pnrr rispetto alla versione circolata a dicembre 2020. La prima bozza risultava eccessivamente sbilanciata sugli incentivi e priva di una chiara priorità per gli investimenti volti a ridurre i divari territoriali nell’offerta di servizi essenziali come istruzione, sanità e mobilità.

Il Pnrr approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio presenta miglioramenti significativi, in particolare per quanto riguarda tre aspetti:

L’integrazione tra riforme e investimenti, con una visione d’insieme più chiara e coerente;

L’esplicitazione degli obiettivi di policy, allineati ai tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale;

La revisione dell’allocazione delle risorse, con una maggiore attenzione a settori inizialmente penalizzati come sanità, istruzione e ricerca.

Rispetto alla versione di dicembre 2020, nel nuovo Pnrr alcune missioni fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo europeo di coesione sociale e territoriale hanno beneficiato di considerevoli incrementi di risorse: Sanità: +10,7 miliardi; Inclusione e coesione: +10,5 miliardi; Istruzione e ricerca: +9,3 miliardi

Inoltre, la quota di investimenti è stata aumentata al 70%, con una conseguente riduzione della quota destinata agli incentivi. Questa scelta dovrebbe favorire indirettamente il Mezzogiorno, poiché la destinazione territoriale degli incentivi tende a riflettere la capacità di assorbimento dei territori, che storicamente penalizza le aree più deboli. Tuttavia, manca ancora una visione pienamente matura del ruolo che il Mezzogiorno può svolgere nella ricostruzione del Paese.

Fsc e Pnrr: un equilibrio da garantire

L’ampliamento della dimensione del Piano e l’incremento della quota destinata a nuovi progetti sono stati possibili anche grazie all’integrazione delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc) per 21,2 miliardi di euro. Se questa scelta può risultare condivisibile nella misura in cui accelera l’attuazione dell’Fsc, è essenziale garantire la piena reintegrazione delle risorse anticipate.

L’inserimento del Fsc all’interno del Pnrr richiede chiarezza nei profili temporali di reintegro, per evitare che il fondo perda la sua funzione originaria di finanziamento aggiuntivo e si trasformi in una mera sostituzione di risorse ordinarie, in contraddizione con il principio di coesione territoriale, uno dei pilastri del Next Generation EU. Inoltre, sarebbe opportuno prevedere – analogamente a quanto fatto per React-EU – un’indicazione puntuale degli interventi finanziati dal Fsc, per garantire un monitoraggio più efficace del rispetto del vincolo di allocazione dell’80% delle risorse al Mezzogiorno.

Un impegno chiaro per la coesione territoriale

La Svimez ribadisce l’esigenza di orientare le risorse aggiuntive del Piano all’obiettivo della coesione territoriale, soprattutto per quanto riguarda le dotazioni infrastrutturali e sociali e per le politiche volte a migliorare la qualità e il livello dei beni e dei servizi pubblici essenziali.

Secondo la Svimez, il documento dovrebbe meglio esplicitare come l’obiettivo traversale della coesione territoriale venga perseguito all’interno di ciascuna missione, declinando fabbisogni, target e risultati attesi territoriali. Da una simile impostazione di metodo – senza la necessità di imporre ex-ante vincoli territoriali di destinazione di pura natura contabile – segue una concentrazione delle risorse complessive del Piano al Sud per una quota superiore al suo peso in termini di popolazione (34%). Al Sud si concentrano i ritardi più rilevanti in termini di offerta di servizi pubblici essenziali e allo stesso tempo rilevanti opportunità in termini di contributo alla transizione del Paese verso un’economia più sostenibile. Se non si destinano al Sud risorse adeguate a superare questi ritardi e ad attivare tali potenzialità, il Piano non raggiungerà il suo obiettivo di ricostruire un processo di crescita più equo e più stabile.

Impatto economico: scenari di crescita Nord/Sud

La Svimez ha stimato gli effetti sulla crescita del Pil derivanti dall’attuazione del Pnrr, analizzando la quota di risorse destinate agli investimenti (circa il 70% delle risorse complessive, pari a 150 miliardi di euro nel periodo 2021-2026). Sono stati considerati due scenari: il Mezzogiorno riceve solo il 24% delle risorse, in linea con i trend storici della spesa pubblica in conto capitale tra il 2014 e il 2019; il Mezzogiorno riceve il 50% delle risorse, coerentemente con l’obiettivo europeo della coesione territoriale.

Nel primo scenario, l’effetto aggiuntivo complessivo sulla crescita italiana è stimato in circa 7 punti percentuali (8,1 nel Mezzogiorno). L’impatto in termini di occupazione aggiuntiva sarebbe invece pari a circa 1 milione di unità, circa 600 mila nel Centro-Nord e 400 mila nel Mezzogiorno. Una distribuzione territoriale delle risorse più favorevole al Mezzogiorno, e più coerente con l’obiettivo europeo della coesione territoriale, non solo avrebbe l’effetto di incrementare significativamente la crescita del Pil meridionale, dall’8,1 all’11,6% (e di attivare un ulteriore incremento di circa 100 mila posti di lavoro), determinando anche una maggiore crescita complessiva dell’economia nazionale di circa un punto percentuale.

Impatto incrementale cumulato 2021-26 sul Pil degli investimenti del Pnrr

Fonte: Svimez, modello NMODS

Nel breve periodo, data l’interdipendenza tra Nord e Sud, i maggiori investimenti nel Mezzogiorno alimentano un effetto indiretto sulle produzioni del Nord, attraverso una domanda di beni e servizi necessari alla realizzazione di tali investimenti. La Svimez stima che ogni euro di investimento al Sud genera circa 1,3 euro di valore aggiunto per il Paese, di cui 0,3 (il 25%) al Centro-Nord. Nel lungo periodo, il processo di accumulazione di capitale, dati i rendimenti decrescenti nella dotazione dello stock di capitale, produce dinamiche del moltiplicatore decrescenti nel Centro-Nord e crescenti nel Sud.

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