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25 Maggio 2023

Attuazione dell’autonomia differenziata

La sintesi dell’audizione Svimez sull’ attuazione dell’autonomia differenziata

I rischi dell’autonomia differenziata

Le richieste di regionalismo differenziato vanno valutate, nei loro eventuali meriti e limiti, nel contesto di un’attuazione organica, completa ed equilibrata, del nuovo Titolo V, rispettando i principi di eguaglianza, perequazione e solidarietà nazionale. Con il ddl Calderoli si va potenzialmente verso un’attuazione “integrale” delle proposte di autonomia: la possibilità di chiedere il decentramento di tutte le materie previste, compresa l’istruzione, senza l’individuazione puntuale di criteri di accesso; l’inemendabilità da parte del Parlamento delle intese Stato-Regione; il finanziamento delle nuove competenze regionali extra-Lep sulla base della spesa storica; la previsione di una definizione dei Livelli essenziali delle Prestazioni entro 12 mesi ma a invarianza di spesa. Si tornerebbe, in sintesi, alle proposte di cinque anni fa, rimuovendo quanto avvenuto sino ad oggi sia nel contesto economico e sociale del Paese (Pandemia, Pnrr e ora gli effetti della guerra in Ucraina), sia negli approfondimenti tecnici sulle precedenti versioni dell’autonomia.

L’autonomia differenziata delineata dal Governo espone l’intero Paese ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva del sistema Paese per effetto di una frammentazione delle politiche pubbliche. Si delinea in sostanza uno scenario di crescente “specialità” delle regioni a statuto ordinario con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese. Con riferimento specifico alle regioni del Mezzogiorno, a questo quadro di frammentazione, si aggiungono i rischi di un “congelamento” dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi.

Le criticità del ddl Calderoli

Uno dei principali elementi critici del ddl Calderoli riguarda l’assenza di riferimenti espliciti a due aspetti sostanziali tra loro connessi.

Il primo è l’individuazione puntuale di criteri di accesso al regionalismo differenziato da verificare sulla base di analisi e valutazione accurate e adeguatamente documentate.

Il secondo riguarda la previsione esplicita che le concessioni di autonomia rafforzata su singole funzioni siano motivate dall’interesse nazionale, non da quello particolare delle singole Regioni richiedenti. Rimanendo inevasi questi aspetti, la decisione su quali funzioni decentrare è demandata alla mediazione politica. Governo e Regione, a seguito di una negoziazione, trovano un accordo sulle materie oggetto di devoluzione senza che il Parlamento possa intervenire nel merito, lasciando ad esso solo la possibilità di accettare o rifiutare la proposta. Ma, soprattutto, il disegno di legge non introduce alcun criterio per circoscrivere gli ambiti all’interno delle materie che possono essere delegate.

È sicuramente un passo avanti il fatto che il ddl Calderoli (ri)affermi il principio che i Lep siano la “soglia costituzionalmente necessaria per rendere effettivi i diritti” di cittadinanza. Ma per renderli effettivi non basta definirli, occorre garantirne il finanziamento. I divari nell’offerta di servizi nel nostro Paese, sino ad ora cristallizzati dalla spesa storica, si superano solo con un percorso graduale di riequilibrio della spesa con risorse aggiuntive, a meno di non prevedere una redistribuzione, a risorse date, dalle “virtuose” regioni del Nord a quelle del Sud. Percorso impedito dalla mancanza di risorse aggiuntive per garantire i servizi dove non ci sono o sono insufficienti e reso ancor più difficile dagli effetti dell’autonomia in termini di contrazione del bilancio pubblico.

Autonomia differenziata, surplus fiscali ed efficacia dell’azione redistributiva dello Stato

La Svimez ha condotto un esercizio di quantificazione dell’impatto sulle finanze pubbliche del sistema di finanziamento delle nuove forme di autonomia, con particolare riferimento alle potenziali ricadute sulla dimensione dello spazio fiscale del bilancio pubblico a garanzia degli obiettivi di uniformità delle prestazioni su base nazionale e, più in generale, sulla tenuta dei conti pubblici e dell’azione redistributiva dello Stato.

In primo luogo, è stato quantificato il valore finanziario delle funzioni delegabili, sulla base dei testi delle pre-intese del 2019. Sono state poi stimate le quote di compartecipazione ai gettiti nazionali necessarie al finanziamento delle competenze decentrate, ipotizzando la concessione delle ulteriori forme di autonomia nel 2017 a Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.

Le funzioni delegate assorbirebbero larga parte dell’Irpef regionale (il 90% circa nel caso del Veneto, quote tra il 70 e l’80% per Lombardia ed Emilia-Romagna). Nell’ipotesi di utilizzo del gettito dell’Iva in tutte e tre le regioni esso non coprirebbe il fabbisogno finanziario ma occorrerebbe una integrazione del gettito Irpef. Di fatto emergerebbe un sistema di finanziamento analogo a quello attualmente utilizzato per le regioni a statuto speciale.  

Rilevanti sarebbero inoltre gli effetti in termini di contrazione del Bilancio nazionale con una conseguente riduzione degli spazi di azione della finanza pubblica centrale. Si consideri che il gettito Irpef trattenuto dalle tre Regioni risulterebbe pari a circa il 30% del gettito totale nazionale.

Compartecipazioni in % al gettito dei tributi statali

RegioniScenario
compartecipazione Irpef
Scenario compartecipazione Iva integrata
da compartecipazione Irpef
Compartecipazione IvaCompartecipazione Irpef
Emilia-Romagna78,810023,2
Lombardia70,710020,5
Veneto90,210033,5

Fonte: elaborazioni Svimez

Si è poi proceduto ad effettuare un esercizio, puramente teorico, su cosa sarebbe accaduto nel caso di accesso all’autonomia differenziata delle tre Regioni nel 2017 e di utilizzo di compartecipazioni al gettito di tributi statali in misura tale da garantire al momento di avvio di applicazione dell’intesa risorse corrispondenti al fabbisogno di spesa del territorio regionale, prevedendo aliquote di compartecipazione costanti. Se l’autonomia fosse stata concessa nel 2017, si sarebbe generato un surplus a favore delle 3 regioni pari a circa 5,7 miliardi nell’ipotesi di compartecipazione Irpef e di oltre 9 miliardi nel caso di compartecipazione Iva e Irpef.

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