di Luca Bianchi
su Il Messaggero
In una fase della congiuntura che restituisce segnali di rallentamento dei tassi di crescita dopo la robusta ripartenza post- Covid, nella sua relazione all’Assemblea nazionale di Confindustria, il Presidente Orsini ha richiamato l’attenzione del governo su due priorità per irrobustire la ripresa produttiva e occupazionale.
La necessità di dare continuità agli investimenti pubblici, anche oltre il Pnrr, e quella di assicurare sostegno attivo agli investimenti industriali. Si tratta di due indicazioni di policy, che vanno lette alla luce delle peculiarità della ripresa che ci stiamo lasciando alle spalle.
Nel post-Covid non si è replicato il “tradizionale” pattern Nord-Sud osservato in precedenti fasi di ripresa ciclica: il Nord non ha fatto da apripista e il Sud non è rimasto indietro. Al contrario, il Mezzogiorno è cresciuto come il resto del Paese, superando le altre aree nel 2023. Con il contributo decisivo delle politiche: a sostegno dei redditi, soprattutto delle famiglie meno abbienti, e con una crescita più accentuata degli investimenti, soprattutto in opere pubbliche.
L’area che mostra invece minore reattività nella ripresa è il Centro, alla ricerca di una nuova identità tra deindustrializzazione e una incompiuta transizione verso un terziario avanzato. Con territori come il basso Lazio e l’Umbria che scivolano verso indicatori economici e sociali tipici di un’area arretrata, un’area spesso schiacciata anche nel dibattito politico dalla contrapposizione Nord-Sud, ora esacerbato dalle proposte sull’attuazione dell’autonomia differenziata, non prive di rischi anche per le regioni del Centro.
Tuttavia, questi percorsi differenziati se da un lato fanno emergere potenzialità diffuse a livello territoriale e una reattività anche delle aree più deboli agli stimoli delle politiche di investimento, dall’altro ?????pongono l’esigenza di un disegno di politica industriale in grado di valorizzare la specializzazione dei territori rafforzando le connessioni fisiche e immateriali in una La relazione del presidente Orsini pone giustamente al centro il tema della “reindustrializzazione”. Nel post-Covid, infatti, hanno mostrato preoccupanti segnali di difficoltà a ripartire, sia la manifattura sub-fornitrice delle “export economy” di Lombardia e Emilia-Romagna, che hanno subito la frenata della manifattura tedesca, sia l’industria distrettuale leggera della “terza Italia”, soprattutto in Umbria e nelle Marche, alle prese con una crisi ventennale. Queste dinamiche vanno al di là della congiuntura sfavorevole avversa: la crisi dell’automotive è destinata a trascinarsi per la lunga e complessa transizione all’elettrico; ancor più evidente è il tratto strutturale della crisi della “terza Italia”. che si trascina dai primi anni Duemila, da quando è venuta meno la leva delle svalutazioni esterne che ne avevamo alimentato l’espansione.
L’obiettivo della “reindustrializzazione” citato dal presidente Orsini deve tener conto di questo contesto molto diversificato della realtà industriale del Paese nel programmare una politica industriale che torni ad essere centrale per conseguire gli obiettivi europei della «doppia transizione» e dell’ «autonomia strategica». Al Sud la partita si gioca sulla valorizzazione del contributo meridionale al rafforzamento delle filiere industriali strategiche, come nelle intenzioni della Zes unica. Nelle aree del Nord a industrializzazione più matura, le politiche si trovano di fronte all’urgenza di gestire i costi occupazionali delle transizioni, e in quelle del Centro del “piccolo e bel-lo”, c’è un’industria che deve reinventarsi per tenere il passo con la competizione internazionale. La scommessa del turismo, importante per quest’area, non è certo sufficiente, lo dicono i dati, a trainare, da sola, la ripartenza.
Assicurare continuità alle politiche di investimento, anche nella fase di “normalizzazione” delle politiche di bilancio, sarà dunque fondamentale, concentrando gli interventi su poche chiare priorità condivise. In questo quadro è necessario però partire da una rilettura della geografia economica italiana alla luce delle profonde trasformazioni che hanno attraversato il nostro Paese in quest’ultimo complicato ventennio. Un’analisi necessaria per costruire nuove politiche di sviluppo che inevitabilmente devono superare la dimensione regionale. Una riflessione che sta riguardando il Mezzogiorno, interessato da una profonda ridefinizione delle politiche di coesione, ma che deve necessariamente estendersi anche al Centro Italia che, come visto, in assenza di una strategia unitaria, si sta frammentando perdendo posizioni rispetto al resto del Paese.