di Luca Bianchi
su Il Messaggero
L’ estensione dell’ambito di applicazione della Zes Unica a Umbria e Marche è, come hanno detto la Presidente dell’Umbria Stefania Proietti e il Presidente delle Marche Francesco Acquaroli, una buona notizia, forse tardiva ma certamente un’opportunità per il rilancio di questi territori. Ma è anche la presa d’atto di un progressivo scivolamento di alcune regioni del Centro verso indicatori economici assimilabili a quelli delle aree deboli europee; quelle che la Ue definisce, con un eufemismo, aree Convergenza, la categoria a cui appartengono le regioni del nostro Mezzogiorno.
Da diversi anni su questo giornale avevamo lanciato l’allarme della emersione di una nuova questione italiana, la questione del Centro Italia. I dati, a partire dal Pil (il Prodotto interno lordo), ma con riflessi rilevanti sulla dinamica occupazionale soprattutto giovani-le, evidenziavano ormai da oltre un decennio una frattura nella crescita economica e nel progresso sociale in quell’area che, per il dinamismo delle piccole e medie imprese, avevamo chiamato Terza Italia.
Soprattutto era evidente una frammentazione del Centro con una divaricazione crescente tra Lazio, trainata da Roma, e Toscana e le regioni dell’Umbria e delle Marche, incapaci di riprendere un tasso di crescita significativo. Un solo dato per sintetizzare il declino di queste regioni nel quadro europeo: il Pil pro capite dell’Umbria nel 2000 era superiore di oltre 20 punti a quello medio europeo, nel 2009 era sceso al 100%, nel 2022 è pari ad appena l’ 83%.
Nello stesso ventennio le Marche sono passate dal 116% al 91% della media Ue. Si tratta delle uniche due regioni italiane, fuori dal Mezzogiorno, con un valore inferiore al livello medio europeo. Sulla base di queste analisi abbiamo sollecitato da tempo una riflessione e, di conseguenza, la presa d’atto dell’esigenza di una strategia coordinata per queste aree del Centro, caratterizzate da preoccupanti segnali di declino soprattutto nel comparto industriale. Evidenziando che, in un dibattito pubblico sempre più polarizzato dalla contrapposizione tra Nord e Sud, stavano sfuggendo le profonde trasformazioni della geografia economica italiana, sempre più differenziata anche all’interno delle diverse macro aree.
In questo quadro la decisione del Governo di estendere alle Marche e all’Umbria i meccanismi agevolativi e di semplificazione amministrativa della Zes unica rappresenta una prima importante risposta.
L’APPLICAZIONE
L’esperienza della Zes unica nel Mezzogiorno, soprattutto dopo la sua trasformazione da intervento frammentato a strategia unitaria, sta infatti registrando importanti risultati in termini di volumi di investimenti attivati, soprattutto per effetto di una riduzione significativa dei tempi autorizzativi. Ora però bisogna accompagnare la decisione, per evitare che possa sembrare solo uno spot elettorale per le prossime elezioni nelle Marche. Serve un disegno strategico che identifichi, come previsto dalla norma istitutiva della Zes, settori di specializzazione e interventi puntuali in grado di rilanciare un tessuto industriale, fortemente vocato all’export, che deve fronteggiare le sfide competitive globali rese ancor più complicate dalle politiche protezionistiche americane. L’impatto dei dazi di Trump rischia di peggiorare ulteriormente le prospettive delle imprese, soprattutto per una regione export led co me le Marche.
E infine, come ci insegna la storia del Sud, gli incentivi non bastano se non si interviene sui divari infrastrutturali, a partire dalla debolezza delle infrastrutture di collegamento est-ovest che hanno penalizzato pesantemente il tessuto produttivo del Centro-Italia. Rimane infine la questione delle aree interne appenniniche che stanno affrontando un processo di drammatico spopolamento, acuito da un progressivo indebolimento nell’offerta di servizi, dalla scuola alla sanità, sui quali occorre un investimento straordinario per evitare di condannarli, come sembra emergere da un recente documento governativo, ad un inesorabile abbandono.
Insomma, la Zes può essere un primo passo, ma rimane l’esigenza di costruire una strategia condivisa, che punti, anche attraverso la collaborazione tra le diverse regioni dell’area, ad un modello di sviluppo in grado di valorizzare il potenziale turistico e le specializzazioni industriali presenti nel territorio. Il rischio è rassegnarsi alla prospettiva che una parte del Centro scivoli da Terza Italia a secondo Mezzogiorno.