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17 Dicembre 2025

Proteggere il Sud con le scuole

di Luca Bianchi e Serenella Caravella

Nell’ultimo decennio, l’Italia ha sperimentato una crisi demografica decisamente più accentuata rispetto alla media degli altri paesi europei. Come ci dicono i dati Eurostat 2025, nel periodo 2014-2024 la popolazione residente in Italia si è ridotta di 1,4 milioni di abitanti, una riduzione concentrata nelle regioni meno sviluppate, che hanno perso complessivamente quasi un milione di residenti. Alla base di questa contrazione vi è un saldo naturale fortemente negativo (–3,8‰), solo parzialmente compensato dal saldo migratorio con l’estero (+1,5‰).[1] 

Fanno eccezione solo alcuni territori del Nord – Lombardia, Emilia-Romagna e le Province autonome di Trento e Bolzano – che preservano una dinamica demografica positiva, grazie alla capacità di attrarre anche popolazione dal Mezzogiorno, non solo persone immigrate.

Il Mezzogiorno è l’area più esposta alle conseguenze negative della transizione demografica. Non solo perde residenti, ma si depaupera della parte più giovane e dinamica della popolazione. Nel solo 2024, oltre la metà delle 52.000 persone che da Sud e Isole hanno spostato la loro residenza nel Centro-Nord aveva tra i 25 e i 34 anni, per oltre la metà in possesso di una laurea. La migrazione interna è ancora più selettiva tra le donne: sono laureate il 68% delle giovani meridionali che si trasferiscono nelle regioni del Centro-Nord: una perdita netta di capitale umano che indebolisce le possibilità di sviluppo e mina le basi demografiche per il futuro.

Tra i fattori in gioco ad alimentare le migrazioni intellettuali verso il Centro-Nord ci sono le basse aspettative di sviluppo. A fronte di un tasso di occupazione giovanile del 75,6% in Italia (25-34 anni), il Mezzogiorno si ferma al 63,1%, e il divario è ancora più ampio per le giovani donne: 51,8% contro il 67,6% nazionale. Anche i livelli retributivi medi confermano la distanza con il resto del paese: i salari medi da lavoro dipendente sono oltre 5.000 euro più bassi rispetto alla media italiana (26.393 euro, salario lordo annuale) e inferiori di oltre 10.000 euro nel confronto europeo (36.491 euro).

Queste evidenze in parte spiegano perché il Sud risulta incapace di trattenere i propri giovani, oltre ad apparire meno attrattivo per i nuovi arrivi dall’estero. Questi fattori accrescono lo squilibrio naturale e accelerano l’invecchiamento, aggravando la rarefazione dei servizi essenziali specialmente nei piccoli comuni e nelle aree interne, a maggiore rischio spopolamento.

Uno dei riflessi più evidenti della crisi demografica si osserva nel sistema dell’istruzione. Le previsioni demografiche dell’Istat al 2035 indicano un calo di oltre mezzo milione di alunni e alunne nella scuola primaria, di cui quasi 200.000 solo nel Mezzogiorno. La riduzione è particolarmente forte in queste regioni: Sardegna (–35%), Abruzzo (–25,8%), Molise (–23,6%), Basilicata (–23,5%), Puglia (–23,3%), e Calabria (–22,7%). In questo scenario, cresce il numero dei comuni in cui l’unica scuola primaria rischia la chiusura: sono circa 3.000 in tutta Italia, di cui il 46% al Sud.[2] A rischiare la chiusura del presidio scolastico, sono quei comuni nei quali il numero di bambini e bambine in età scolare è inferiore a 25.

Figura 1. Previsioni al 2035 della popolazione di alunni e alunne di 6-10 anni in Italia per area geografica (var. % e assolute sul 2024)

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Fonte: elaborazioni Svimez su dati Istat

Per spezzare il legame tra spopolamento e indebolimento dei diritti della cittadinanza, istruzione in primis, è necessario riequilibrare territorialmente la dotazione di servizi essenziali, garantendo parità nelle condizioni di accesso e negli standard qualitativi a tutti i cittadini, indistintamente dal luogo in cui risiedono.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta un’opportunità da cogliere e l’esperienza degli asili nido è, da questo punto di vista, particolarmente indicativa. L’espansione dei servizi all’infanzia potrebbe attivare un circolo virtuoso tra diritti e occupazione. Da un lato, favorirebbe l’inserimento lavorativo delle coppie con figli piccoli (< 3 anni), riducendo la penalità legata alla genitorialità (child penalty); dall’altro lato, stimolerebbe la domanda di lavoro in un settore ad alta femminilizzazione, creando nuove opportunità occupazionali. 

La genitorialità, infatti, continua a rappresentare uno dei principali fattori di penalizzazione delle donne nel mercato del lavoro, soprattutto al Sud. Nel 2024 le donne senza figli, sia single che in coppia, presentano i livelli occupazionali più elevati, pari al 63,6% a livello nazionale, con un ampio divario tra Nord (71%) e Mezzogiorno (45,8%). Tra le madri, il tasso di occupazione scende di oltre 3 punti (60,1%) a livello nazionale, con forti differenze a livello territoriale. Nelle regioni meridionali, il tasso di occupazione delle madri con un solo figlio scende al 41,8%: quasi 30 punti in meno che al Nord (70,3%). 

Figura 2. Localizzazione comunale delle scuole della primaria a rischio chiusura (<125 alunni)

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Fonte: elaborazioni Svimez su dati Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM)

Il Piano interviene su questa criticità attraverso il riequilibrio e il potenziamento dell’offerta di posti nido. In particolare, è prevista la creazione di 150.480 posti aggiuntivi: un obiettivo ambizioso che, se pienamente realizzato, potrebbe contribuire a ridurre in modo strutturale i divari tra i territori. Il riparto delle risorse è stato progressivamente riorientato, grazie all’introduzione di correttivi volti a favorire la partecipazione dei comuni con maggiore fabbisogno, prevalentemente localizzati al Sud. Le risorse complessive allocate ai nidi raggiungono 2,18 miliardi nel Mezzogiorno (5.045 euro pro capite, ovvero per posto aggiuntivo), a fronte degli 1,97 miliardi destinati al Centro-Nord (2.415 euro pro capite).

Sulla base degli stanziamenti previsti dal Pnrr e dello stato di avanzamento dei lavori si è proceduto a stimare l’incremento di offerta di posti nido, già realizzati o in corso di realizzazione e quelli ancora da realizzare per macroarea. L’analisi, aggiornata al primo semestre 2025, evidenzia un forte incremento della copertura pubblica di posti nido rispetto al 2022 (v. fig. 3). Gli asili nido realizzati dal Pnrr (e/o in fase avanzata di completamento) hanno raddoppiato la copertura nelle regioni del Mezzogiorno: da 6,8 posti ogni 100 bambini (nel 2022) a 13,8 (nel 2025), valore comunque distante da quello rilevato nelle regioni del Centro-Nord (21,8). Il raggiungimento di un reale allineamento dell’offerta di asili nido (almeno per la componente pubblica) si potrà realizzare solo se si porteranno a termine tutti i progetti previsti dalla misura Pnrr.

Figura 3. Posti nido per 100 bambini (< 3 anni) presenti nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno nel 2015 e nel 2022, realizzati dal Pnrr e da completare con avanzamento Pnrr

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Fonte: elaborazioni Svimez su dati ItaliaDomani

Vale la pena ricordare che l’Istat, nel rapporto I divari territoriali nel Pnrr: dieci obiettivi per il Mezzogiorno, pubblicato nel 2023, ha analizzato i ritardi storici del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, identificando dieci aree strategiche d’intervento per favorire la convergenza.[3] Riguardo al Mezzogiorno il rapporto si sofferma sulla scelta del Pnrr di valorizzare i servizi socio-educativi per l’infanzia.  L’intento è di rendere l’accesso agli asili nido e alla scuola materna più equilibrato sul piano territoriale e prossimo agli standard europei, con l’obiettivo di sostenere la genitorialità e ridurre il gap nel tasso di occupazione fra donne con figli in età pre-scolare e donne senza figli.

Dall’implementazione del Pnrr possono quindi derivare rilevanti effetti positivi di riequilbrio dei divari territoriali occupazionali e retributivi delle giovani donne del Mezzogiorno. E ciò, più in generale, contribuirebbe a migliorare le prospettive demografiche ed economiche del Mezzogiorno nel prossimo futuro.

L’efficacia degli investimenti dipende però dalla volontà di assicurare complementarietà e continuità al piano tramite le future risorse dei fondi di coesione, nazionali ed europei. Ciò richiede un più ampio rafforzamento del welfare territoriale finalizzato a perseguire gli obiettivi di coesione che consentano di offrire pari opportunità lavorative e retributive nelle diverse aree del paese, rendendo attrattive nella stessa misura tutte le aree e scongiurando il rischio di un ulteriore ampliamento dei divari sociali ed economici tra Centro-Nord e Mezzogiorno.

Questo articolo nasce dall’intervento tenuto all’interno del workshop Spopolamento, migrazioni e genere che si è tenuto a Roma il 30 settembre 2025. 

Note

[1] Il saldo naturale è dato dalla differenza tra il numero dei nati e il numero dei morti (registrati nell’anagrafe dei residenti).

[2] Rischiano la chiusura del presidio scolastico i comuni nei quali il numero di bambini in età scolare è inferiore a 25.

[3] Le aree d’intervento riguardano diversi ambiti, tra cui sanità, istruzione, occupazione, digitalizzazione, infrastrutture e emigrazione, evidenziando come il Mezzogiorno presenti ancora un divario significativo in termini di PIL, tassi di occupazione, accesso alla banda larga e infrastrutture.

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