LA RILEVANZA DELL’AUTO NEL MEZZOGIORNO
Nel quadro di difficoltà dell’industria europea ed italiana dell’Auto, il peso dell’industria automobilistica del Mezzogiorno è ancora molto rilevante, soprattutto se ci focalizziamo sulla fabbricazione di autoveicoli. Nelle regioni del Sud, pesa infatti la presenza dei grandi impianti di produzione finale, frutto dello storico processo di “meridionalizzazione delle produzioni Fiat”, iniziato già negli anni ’70.
Questo tratto è particolarmente marcato in Molise e in Basilicata, dove gli addetti di Termoli e Melfi rappresentano rispettivamente l’82% e il 79% del totale di settore, mentre Campania e Abruzzo – ma anche Puglia e Basilicata – sono caratterizzate anche dalla presenza di un indotto significativo. Se la rete della componentistica del Mezzogiorno è comparativamente meno sviluppata rispetto al Centro-Nord e si compone principalmente di piccole e medie imprese subfornitrici dei grandi player nazionali e internazionali, nel 2021 l’indotto occupava comunque più di 20 mila addetti.
La prospettiva di filiera ci consente di inquadrare ulteriormente la rilevanza economica dell’Automotive nel Mezzogiorno. La filiera estesa nel Mezzogiorno vale 13 miliardi in termini di valore aggiunto, di cui più dell’80% in Campania (29%), Puglia (20%), Sicilia (22%) e Abruzzo (13%). Gli occupati direttamente o indirettamente riconducibili alla filiera sono quasi 300mila, più della metà dei quali in Campania (30% degli addetti) e Puglia (21%).
LA CRISI AUTOMOTIVE DEL 2024
Data la rilevanza dell’Automotive per il tessuto produttivo del Mezzogiorno, la crisi dell’Automotive europeo desta particolari ragioni di preoccupazione. Nel 2023, la produzione nazionale di autoveicoli è cresciuta a 751 mila unità (+9,6%) e l’82% ha avuto luogo negli stabilimenti Stellantis situati a Pomigliano, Melfi, e Atessa (615 mila).
Nei primi nove mesi del 2024, tuttavia, la produzione si è fermata a 387 mila unità, con un crollo del -32% rispetto allo stesso periodo del 2023. Secondo stime Svimez, il 2024 si chiuderà sotto la soglia del mezzo milione di autoveicoli (intorno a 490 mila unità), riportando la produzione nazionale al 1959. Gli stabilimenti del Mezzogiorno rappresentano oggi l’89% degli autoveicoli prodotti in Italia, ma hanno già perso più di 110 mila unità sul 2023 (-25%).
La situazione è particolarmente grave, non solo per lo stabilimento di Melfi, che ha visto una perdita di quasi 90 mila unità (-62%), ma anche perché tutti gli stabilimenti – compresi Pomigliano (-6%) e Atessa (-10%), in crescita nella prima parte dell’anno – sono entrati in territorio negativo, con cali che interessano sia gli autoveicoli che i veicoli commerciali. Rispetto ai livelli del 2019, la riduzione dei volumi è ancora più severa, soprattutto per Atessa (-32%) e Melfi (-73%).
Il ridimensionamento produttivo di Stellantis ha già avuto e avrà pesanti ripercussioni sui livelli occupazionali. Se dal 2014 si stimano circa 11 mila addetti in meno nel complesso degli stabilimenti Stellantis, nel solo 2024 sono previste quasi 4 mila uscite con incentivazione all’esodo, a fronte del blocco delle assunzioni. Nella sola Melfi, le incentivazioni all’uscita dal 2021 hanno riguardato 1.700 persone, riducendo l’occupazione nello stabilimento a poco più di 5.400 addetti (prima della pandemia erano più di 7 mila). Questa situazione si ripercuote sull’intero indotto, anche extra-regionale, dato che lo stabilimento fa leva su una rete di componentistica diffusa nei vicini territori di Puglia e Campania, oltre ad attivare una rilevante migrazione lavorativa dalla Calabria.
Per quanto riguarda Pomigliano, lo stop previsto da Stellantis per novembre e la produzione dal 2025 della Panda mild hybrid presso lo stabilimento serbo di Kragujevac rischiano di spiazzare la produzione dello stabilimento che finora ha tenuto maggiormente in termini di volumi e occupazione. Per di più, i circa 2 mila addetti ancora occupati a Termoli producono motori prevalentemente destinati a rifornire proprio lo stabilimento di Pomigliano, rischiando di vedersi coinvolti in un eventuale ridimensionamento dei volumi campani.
IL CONFRONTO TRA GOVERNO E STELLANTIS
Data la crisi del comparto, il biennio 2023-2024 è stato segnato da un confronto acceso tra il Governo italiano e Stellantis, circa le cause della crisi, le misure da adottare e le responsabilità dell’unico grande costruttore presente in Italia. Se il Ministero ha rimproverato in diverse occasioni a Stellantis di non mantenere i propri impegni rispetto al target di 1 milione di veicoli entro il 2030, l’ormai ex Ad Tavares ha sostenuto che il trend della produzione segue quello della domanda, in forte rallentamento in Italia ed Europa, suggerendo di finanziare incentivi pubblici agli acquisti di auto elettriche, introdotti a giugno 2024 dal Governo.
I dati sulle immatricolazioni ci dicono che il mese di agosto è stato caratterizzato da un marcato rallentamento (-13%), dovuto proprio alla fine dell’effetto incentivi, che si è concentrato sui mesi di giugno (+15%) e luglio (+5%). Il trend di rallentamento si è confermato nei tre mesi successivi (Settembre-Novembre), portando le immatricolazioni dei primi undici mesi a quota 1,45 milioni, in linea con quelli dello stesso periodo del 2023 (-0,2%). Se la dinamica del mercato non dovesse subire scossoni, il consuntivo a fine anno potrebbe attestarsi a 1,55 milioni, con una lieve riduzione sul 2023 (-1%) e ancora molto al di sotto dei livelli del 2019 (-19%).
Il rallentamento delle immatricolazioni è diversificato a seconda del marchio. Se ci focalizziamo sul Gruppo Stellantis, si segnala una riduzione significativa delle immatricolazioni ad agosto e settembre 2024, con un calo rispettivamente pari al -32% e -34% rispetto agli stessi periodi del 2023. Nei primi nove mesi dell’anno, le immatricolazioni del Gruppo si sono attestate di poco sopra alle 365mila, con un calo del -6% rispetto alle quasi 390mila del 2023, che ha ridotto la quota di mercato di Stellantis dal 33% del 2023 al 31% del 2024.
L’ex Ad Carlos Tavares durante la recente audizione parlamentare ha sostenuto che, se l’Italia fosse in grado di fornirgli un milione di clienti, Stellantis sarebbe in grado di centrare il target di un milione di auto prodotte in Italia. Se osserviamo i dati, tuttavia, ci rendiamo conto che il rallentamento delle vendite del Gruppo in Italia non è riconducibile alla debolezza del mercato – stabile sull’anno precedente – e non è tale da spiegare il crollo dei volumi produttivi. La riduzione delle immatricolazioni del Gruppo avviene dunque a causa della perdita di quote di mercato, che non può essere attribuita alla debolezza della domanda e degli incentivi agli acquisti.
Stellantis sta gradualmente perdendo quote del mercato italiano, mentre la produzione dei modelli più rilevanti è stata delocalizzata, minacciando i volumi produttivi nazionali e l’occupazione negli stabilimenti e nell’indotto. La presenza di un unico costruttore sul territorio rappresenta un unicum a livello europeo e ha costituito fino a oggi un limite alla capacità del governo italiano di influenzare lo sviluppo del comparto nazionale.
LA TRANSIZIONE ELETTRICA NON DECOLLA IN EUROPA
Ad aggravare il quadro, i vertici di ACC – joint venture di Stellantis, Mercedes e Total – hanno sospeso l’investimento da oltre 2 miliardi per la realizzazione della gigafactory per la produzione di batterie a Termoli, che avrebbe dovuto occupare circa 2 mila addetti. I fondi del PNRR che vi erano stati destinati (250 milioni circa) attraverso contratto di sviluppo sono stati dirottati altrove, a causa dell’impossibilità di spenderli entro il 2026.
Il recente rallentamento degli investimenti negli stabilimenti di batterie, tuttavia, interessa tutta l’industria automobilistica europea, dove si moltiplicano le interruzioni di grandi progetti, con lo stop all’impianto tedesco di ACC in Germania e il fallimento di Northvolt, indicando le difficoltà dei costruttori nella filiera dell’elettrico, legate alla debolezza del mercato elettrico dell’Ue, ma anche alla vulnerabilità europea lungo la filiera, specialmente nei segmenti upstream, con l’Ue in grado di soddisfare una quota estremamente contenuta della domanda di componenti in termini di materiali critici raffinati (litio, nichel e cobalto), catodi e anodi.
La diffusione dell’elettrico a livello globale è oggi guidata dal mercato e dai costruttori cinesi. Nel 2024, i veicoli elettrici hanno sfondato quota 50% sulle nuove immatricolazioni cinesi, mentre il mercato europeo sta registrando un lieve ridimensionamento, con le auto elettriche al 19,6% delle vendite. L’ascesa dell’auto elettrica in Cina è direttamente correlata al riequilibrio del mercato tra costruttori domestici e globali, poiché la maggior parte delle auto prodotte da Joint Venture non cinesi sono a combustione interna (85-90% nel 2023), mentre la quota di elettrici sul totale venduto dai produttori cinesi è in rapida crescita e sempre superiore al 50% dal febbraio 2023.
Come se non bastasse, il massiccio spostamento del mercato domestico cinese verso l’elettrico ha aumentato rapidamente la capacità produttiva in eccesso dedicata ai veicoli tradizionali, che rischia di essere riorientata verso la domanda estera, introducendo un ulteriore pressione competitiva sui costruttori europei per quanto riguarda i veicoli tradizionali.
IL RUOLO DELLE POLITICHE
Alla crisi di lungo corso dell’Automotive italiano, segnata da un ridimensionamento della produzione di autoveicoli e dall’integrazione della componentistica nazionale nella filiera tedesca, si interseca una nuova crisi di dimensione europea. Nel caso italiano, la rilevanza delle politiche è oggi ancora più marcata, considerato il crescente disimpegno dell’unico costruttore nazionale rispetto al mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali, che ha portato negli ultimi mesi a uno scontro tra Stellantis e le imprese della componentistica.
La capacità europea di governare le trasformazioni del comparto è oggi limitata ed eterogenea, a causa dell’abbandono delle politiche industriali verticali e della variegata capacità fiscale degli Stati membri. Le politiche finora implementate hanno sortito effetti temporanei, senza intervenire sui problemi strutturali: gli incentivi alla domanda, da soli, rappresentano un palliativo di cui beneficiano soltanto i costruttori. La richiesta italiana di istituire un Fondo europeo per la filiera e per i consumatori che acquistano auto elettriche made in Europe è un primo passo, ma non è sufficiente.
Se l’obiettivo è il rilancio dell’industria in Europa, è necessario un cambio di paradigma che passa da un Piano strategico europeo finalizzato a rilocalizzare la produzione, colmare il gap tecnologico e garantire un adeguato sviluppo infrastrutturale. Servono risorse importanti e un mix di strumenti che va dalle misure per la riduzione dei costi energetici a sostegno della competitività alle joint ventures con costruttori esteri finalizzate alla produzione – non il mero assemblaggio – di veicoli elettrici e alla riduzione del gap tecnologico accumulato.
Interventi che potrebbero trovare negli stabilimenti del Sud condizioni localizzative favorevoli.
In questo quadro, il Mezzogiorno rischia dunque di essere il luogo su cui si scaricano con maggior intensità gli effetti delle “non scelte” ma, allo stesso tempo, ha il potenziale per fornire un contributo rilevante al rilancio dell’Automotive nel necessario percorso di transizione.