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11 Ottobre 2024

“Il vero dramma è la fuga dei giovani, la politica badi meno al folclore”

di Antonio Fraschilla
su Repubblica Palermo

Direttore Svimez Luca Bianchi, lo spopolamento del Mezzogiorno e delle sue aree interne è sempre più evidente. Ma cosa dobbiamo aspettarci per il futuro stante lo stato dell’arte e senza interventi per invertire questa rotta?

“Se non si cambia il passo delle politiche ci sarà non solo un progressivo spopolamento delle aree interne siciliane ma andremo verso una emigrazione sempre più selettiva. Negli ultimi anni è aumentata la quota dei giovani laureati che lasciano la Sicilia e il Mezzogiorno. Oggi i laureati rappresentano quasi la metà del flusso dei migranti. Diamo un dato: negli ultimi venti anni sono andati via dalla Sicilia 300 mila persone, di cui 200 mila sotto i 35 anni. Ogni anno la Sicilia perde 15 mila persone di cui 7 mila giovani laureati”

Cosa comporta nel tessuto non solo economico ma anche sociale l’uscita di così tanti giovani dalla Sicilia?

“Vuol dire perdere innanzitutto capitale umano formato, che è il principale acceleratore dei processi di sviluppo, soprattutto in questa fase caratterizzata da una grande difficoltà a livello nazionale nel trovare competenze . La permanenza sul territorio di giovani formati diventa quindi fondamentale oggi per attrarre investimenti e cogliere l’opportunità delle transizioni economiche epocali come quelle digitali e ambientali. Quindi il danno oggi per la Sicilia, e direi per il Mezzogiorno tutto, rischia di diventare irrecuperabile”.

Nel frattempo non vanno via solo laureati ma anche diciottenni che preferiscono studiare fuori e spesso sono seguiti anche dai genitori.

“La scelta di emigrare viene sempre più anticipata: circa un terzo degli studenti meridionali si iscrive in una università del Nord. Una scelta che spesso diventa irreversibile e che poi determina questi nuovi flussi di emigrazione familiare, dove anche genitori in pensione seguono i figli verso il Nord, non contribuendo più al Pil del Mezzogiorno”

Ma i giovani vanno via solo perché manca il lavoro? Il tema dell’occupazione carente al Sud non è certo nuovo. Cosa sta accadendo di diverso in questi anni?

“Il dato che più stupisce è che anche negli ultimi due anni in cui l’occupazione è cresciuta pure in Sicilia l’emigrazione dei laureati non si è ridotta. Questo vuol dire che c’è un tema di qualità dell’offerta lavorativa che speso non è, per retribuzione e contratti, adeguata all’investimento formativo fatto dai giovani e dalle famiglie. Possiamo pensare che tutti facciano i portieri di B&b o lavorino nella ristorazione?”

Quindi quando si dice che la Sicilia e il Sud possono vivere di turismo, agricoltura e mare è una bufala?

“Non ci si deve richiudere in una immagine folcloristica di un Mezzogiorno schiacciato sul passato e sulle tradizioni. I giovani hanno bisogno di opportunità in settori come quello dell’industria o quello dei servizi avanzati collocati nelle grandi transizioni globali e in grado di offrire esperienze spendibili sui mercati internazionali”.

Tornado ai motivi dell’emigrazione di oggi, come detto non c’è solo il lavoro. Quali solo le altre motivazioni?

“La principale è il divario di servizi pubblici, il divario nei diritti di cittadinanza. L’assenza di asili nido, tempo pieno nelle scuole e infrastrutture scolastiche,  a esempio, rende difficile accettare un lavoro nelle grandi città del Mezzogiorno e nelle aree interne. E non è un caso che sia cresciuta di più l’emigrazione di giovani donne siciliane e meridionali”.

Di fronte a questo quadro drammatico quali possono essere le vie di uscita concrete e che non siano soltanto esercizi di stile e retorica?

“In primo luogo occorre concentrare le risorse, anche dei fondi europei oltre che del Pnrr, sull’offerta di servizi essenziali. Io non vedo una classe politica concentrata su questo: il tempo pieno nelle scuole deve essere un diritto e una priorità nell’azione politica delle classi dirigenti tutte. Ma c’è anche un tema di un modello di sviluppo che riesca a cogliere alcune nuove opportunità per le regioni del Mediterraneo connesse da un lato alla transizione energetica e dall’altra ad alcune specializzazioni produttive che esistono anche in Sicilia e che possono attrarre investimenti in uno scenario di ridimensionamento della globalizzazione: per essere chiari, oggi una azienda tedesca potrebbe investire al Sud anziché in Cina in una filiera ridotta e controllata”.

Ci può fare qualche esempio concreto?

“La transizione energetica offre l’opportunità di localizzare nel Sud non soltanto impianti di produzione, ma soprattutto una filiera produttiva e tecnologica cosi come avvenuto a Catania pure tra mille difficoltà. Il settore agroalimentare mostra tassi di crescita nelle esportazioni superiori anche alle Regioni del Centro e del Nord. Aeronautica e farmaceutica sono altri due settori che rappresentano una specializzazione presente nelle regioni del Mezzogiorno”.

Per invertire la rotta comunque occorrono decisioni precise di chi governa, a livello regionale ma soprattutto nazionale. Ma da un lato assistiamo a un tentativo di maggiore coordinamento nazionale, come sulle Zes, dall’altro però andiamo verso una autonomia differenziata spinta che toglie leve decisionali ed economiche al governo. Non è cosi?

“Emergono le contraddizioni del governo che da un lato correttamente prova a rafforzare il coordinamento del Pnrr con le politiche di coesione nel Mezzogiorno, dall’altro invece seguendo l’ideologia di contrapposizione Nord-Sud degli anni Novanta propone un disegno di autonomia differenziata che frammenta le politiche nazionali e determina un ampliamento di quei divari di cittadinanza che sono alla base delle drammatiche emigrazioni alle quali stiamo assistendo”.

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