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16 Dicembre 2025

Giannola: «Il Pnrr sta per esaurirsi al Sud serve una strategia»

Intervista di Leonardo Petrocelli

su La Gazzetta del Mezzogiorno

Da un lato la corsa ai bonus, ai tesoretti, all’ultima platea da allargare in extremis. Dall’altro un ragionamento che va controcorrente e pone la questione della Manovra su un altro piano.

«C’è un dibattito sbriciolato nelle mille polemiche di ogni giorno che si specchia in una Legge di Bilancio cui manca totalmente una visione d’insieme. Vale per la maggioranza così come per l’opposizione. Il filo conduttore non c’è». Il j’accuse porta la firma, autorevole, di Adriano Giannola, economista marchigiano e presidente della Svimez (Associazione per lo Sviluppo industriale del Mezzogiorno).

Professor Giannola, quanto Sud c’è nella Manovra?

«Innanzitutto, bisognerebbe chiedersi quale Sud ci sia lì dentro. E dunque quale idea di cambiamento degli equilibri del Paese. Ammesso che ce ne sia una»

Ecco, c’è?

«Non direi. E, mi creda, non è questione di tirare la cinghia o di accontentare l’Europa del rigore. Anzi proprio dall’Ue era venuta una indicazione diversa».

Si riferisce al Pnrr?

«Bruxelles ci aveva lanciato un salvagente dopo il disastro della pandemia con un enorme sforzo di debito europeo. Primo obiettivo: la coesione territoriale».

Abbiamo fallito?

«Direi di sì. I soldi sono stati spesi anche correttamente ma a pioggia. Non seguendo una idea di sistema. Prenda la Zes unica…»

Non va bene nemmeno quella?

«Non ha senso, il Mezzogiorno è sempre stato una sorta di zona unica. Piuttosto, c’erano tre priorità da soddisfare: forti vantaggi doganali, sistema portuale aperto e infrastrutture, a cominciare dalla Napoli-Bari. E poi c’erano priorità di altro tipo che avrebbero incontrato il favore europeo».

Per esempio?

«Decarbonizzazione ed equilibrio ecologico».

Decarbonizzazione significa Ilva.

«Appunto, in Italia proprio la questione dell’acciaio avrebbe dato al Paese un protagonismo incredibile su questo fronte».

Secondo lei lo Stato dovrebbe metter mano alla questione del siderurgico?

«È molto semplice. Lo Stato ha “fatto” l’Ilva, per così dire. Ora dovrebbe essere lo Stato a renderla un traino, non solo per il comparto ma per l’intero Mezzogiorno. Prima ancora di ogni valutazione economica nel merito è innanzitutto una questione di responsabilità».

Torniamo a parlare di risorse. Si potrebbe ripartire dai Fondi di coesione. La Svimez ha lanciato l’allarme sulla soglia del 40% da dedicare al Mezzogiorno. Si rischia di «andare sotto»?

«Guardi, a quanto pare il 15% dei fondi di Coesione dovrebbero essere dedicati a Difesa e strategia. Cosa significa? Nulla è più strategico di uno sviluppo del Sud, o più in generale di un riequilibrio territoriale, da qualunque angolazione lo si voglia vedere. Anche militare. Ma c’è il timore che il 15% prenda strade di altro tipo e che questa “quota” possa comportare una ulteriore erosione. Vedremo».

Nella Manovra c’è il pure il nodo della Decontribuzione Sud che, però, vale per le piccole e medie imprese ma non per le grandi. Un limite?

«Un limite da superare. Noi abbiamo più volte chiesto al governo di avviare un braccio di ferro con Bruxelles. E una battaglia che valla pena combattere soprattutto ora che stiamo tornando a parlare di politica industriale europea. È evidente quale sarebbe il vantaggio di accogliere grandi gruppi nelle regioni in difficoltà. Non è solo occupazione vuol dire infrastrutture, strade, caselli autostradali».

Le cattedrali nel deserto non hanno avuto una grande sorte nel Mezzogiorno.

«Ma in questo caso non lo sarebbero. La Svimez ha avuto spesso modo di confrontarsi con investitori stranieri desiderosi desiderosi di radicarsi al Sud, nell’ultimo caso in Sicilia. Sa cosa hanno chiesto? Non sgravi o incentivi, ma la possibilità di arrivare da Catania a Roma in tre ore e mezzo e un aeroporto internazionale a Sigonella. Se fossero stati interessati alla Puglia avrebbero guardato alla Napoli Bari e al rafforzamento del sistema aeroportuale».

Qual è la lezione?

«Il Mezzogiorno cresce così, facendo sistema, dialogando con i privati e potenziando le infrastrutture, non con i bonus e le risorse che cadono a pioggia. Per carità, vanno benissimo. Ma non spostano gli equilibri. Il Pnrr sta finendo e il tempo stringe».

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