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20 Maggio 2024

DL 60/2024  – Coesione

La sintesi dell’audizione Svimez sul Decreto Coesione

La riforma della governance della politica di coesione

Il DL 60/2024 contiene disposizioni dirette a rafforzare il coordinamento tra Amministrazioni e promuovere la complementarietà e le sinergie dei progetti attuati con i fondi europei per la coesione con gli investimenti finanziati dal Pnrr e dalla coesione nazionale, tenendo anche conto del Piano strategico della Zes Unica per il Mezzogiorno.

Nella nuova governance vengono rafforzati i ruoli di indirizzo e controllo dell’Autorità politica per la coesione, che presidia al coordinamento con le Amministrazioni responsabili dei programmi, tenute a condividere un elenco di interventi prioritari in diversi settori strategici, e a seguire cronoprogrammi procedurali e finanziari modificabili solo nel caso di impossibilità di rispettarne le tempistiche a causa di circostanze oggettive. La scelta di accrescere i poteri centrali è coerente con l’obiettivo dichiarato di rafforzare il livello di efficacia e di impatto degli interventi della coesione europea in raccordo con le altre programmazioni con finalità di riequilibrio territoriale.

Con il complesso delle disposizioni discusse in dettaglio nella Memoria, si completa l’azione di ridisegno complessivo della governance delle politiche di investimento con finalità di coesione territoriale. Nel complesso, l’azione governativa risponde alle esigenze di coordinamento maturate successivamente all’avvio del Pnrr, rese ancor più cogenti alla luce delle criticità attuative e delle successive revisioni del Piano.

Vanno rimarcate le criticità dei meccanismi di premialità introdotti dalla riforma, che si basano sulla possibilità per le Amministrazioni regionali di avvalersi delle risorse Fsc a copertura del cofinanziamento regionale di spese di investimento dei programmi regionali cofinanziati dai fondi europei Fesr e Fse Plus, liberando le relative risorse nei bilanci locali. L’accesso alla premialità richiede alle Amministrazioni di essere adempienti sia sui cronoprogrammi degli interventi finanziati dalle europee, sia su quelli inclusi negli Accordi per la Coesione. L’applicazione di tale previsione richiederà una tempestiva verifica degli stati di avanzamento e completamento degli interventi Fsc, storicamente caratterizzati da procedure complesse e tardive. Soprattutto, andrà verificato se le Amministrazioni valuteranno l’incentivo finanziario commisurato allo sforzo amministrativo aggiuntivo richiesto per accedervi.

L’effettiva attuazione della riforma dipenderà inoltre dall’incisività delle misure di rafforzamento della capacità amministrativa degli enti decentrati. Le accresciute responsabilità dei presidi tecnici centrali, inoltre, dovranno accompagnarsi a una nuova e maggiore capacità di verifica e controllo da parte delle strutture di recente interessate da un processo di profonda riorganizzazione ancora in fase di completamento.

La perequazione infrastrutturale

Il Decreto interviene anche in materia di perequazione infrastrutturale, sia per gli interventi finanziati con le risorse aggiuntive destinate a colmare il gap infrastrutturale delle regioni in ritardo di sviluppo, sia per quelli coperti da risorse ordinarie senza vincoli di destinazione territoriale.

Con riferimento alla programmazione delle risorse aggiuntive, il Decreto rinomina il «Fondo perequativo infrastrutturale» istituito dall’art. 22 della legge delega n. 42 del 2009 in «Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno». Le regioni del Mezzogiorno saranno esclusive beneficiarie degli interventi che si prevede di finanziare nei seguenti ambiti: infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche, nonché a strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche. Si tratta, però, di una ridenominazione di un Fondo esistente interessato di recente da un rilevante definanziamento.

Il DL n. 121 /2021 aveva istituito il Fondo per la perequazione infrastrutturale, poi finanziato nella Legge di Bilancio per il 2021 con una dotazione complessiva di 4,6 miliardi di euro per gli anni dal 2022 al 2033. Nella Legge di Bilancio per il 2024, il Fondo ha subìto un definanziamento di 3,5 miliardi che ne ha portato la dotazione agli attuali 700 milioni, 100 milioni per ciascuna annualità dal 2027 al 2033.

Gli investimenti ordinari nel Mezzogiorno

Il Decreto fissa al 40% la quota delle risorse ordinarie in conto capitale che le Amministrazioni centrali dello Stato sono tenute a destinare agli interventi da realizzare nelle regioni del Mezzogiorno. Si tratta di una maggiorazione rispetto alla cosiddetta «clausola del 34%». Va tuttavia segnalato che il Decreto fa riferimento esplicito alle sole amministrazioni centrali dello Stato, restringendo l’ambito di applicazione della clausola rispetto alla Legge di Bilancio per il 2019, che lo aveva esteso ai contratti di programma tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Anas SpA e a quelli tra il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Rete Ferroviaria Italiana SpA. Ciò rappresenta una rilevante criticità: la quota del 40% si applica a un ammontare di risorse inferiore. Sarebbe perciò opportuno integrare il dispositivo per estendere l’ambito di applicazione alle imprese a controllo pubblico. Tema ancora più decisivo rimane quello dell’effettiva capacità di monitoraggio ex ante, di verifica ex post e delle sanzioni per le Amministrazioni che non raggiungono la quota. In assenza di criteri di cogenza, la clausola del 34% non ha mai trovato concreta attuazione da parte delle Amministrazioni e, nel tempo, si è anche ridotta la disponibilità di basi informative in grado di offrire tempestivamente un quadro sull’allocazione territoriale della spesa ordinaria in conto capitale. ll Decreto non introduce meccanismi di monitoraggio degli stanziamenti e delle risorse per investimenti effettivamente spese nei territori dalle Amministrazioni, né meccanismi di compensazione degli scostamenti dalla quota fissata.  

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