Website Preloader

26 Febbraio 2024

“Autonomia, perché fa paura”. L’intervista al direttore Luca Bianchi

Intervista di Emanuele Imperiali
sul Corriere del Mezzogiorno

Nei giorni scorsi il presidente Svimez, Adriano Giannola, ha presentato il rischio di un disegno perverso dietro l’autonomia differenziata, tendente a costruire un Grande Nord, frutto di alleanze tra produttori e amministratori pubblici. Che ne pensa il direttore di Svimez Luca Bianchi, di questo suggestivo scenario post autonomia? «Il rischio è quello di un secondo tempo, in cui, dopo una frammentazione delle competenze, le Regioni ricompongano gli interessi del Nord attraverso accordi tra loro, tornando al vecchio modello degli anni ‘90 della Macroregione del Nord. Pregiudicando la stessa idea di unità nazionale. Una prospettiva terrificante, che potrebbe celare il ritorno di un disegno padano. Anche perché l’attuale esito di quest’autonomia differenziata è un boomerang per lo stesso Nord in termini di indebolimento della capacità competitiva. Sia il progressivo raffreddamento dell’interesse delle industrie del Nord, sia ora, dopo gli ultimi sondaggi, l’indebolimento dell’adesione al progetto di autonomia anche dei cittadini, confermano che stiamo andando verso un modello che altro non è se non una bandiera politica per la sopravvivenza di alcuni schieramenti».

Bastano, a suo parere, i nuovi Livelli Essenziali delle Prestazioni da definire ancora per garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti i cittadini indipendentemente da dove vivano? E ci sono le risorse per finanziare i Lep?

«La definizione dei Lep prevista dalla Legge di Bilancio, a risorse invariate, non è risolutiva per garantire livelli di servizio adeguati e omogenei a livello territoriale. L’esperienza della sanità lo dimostra. Il finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale non è la somma del costo dei Livelli Essenziali di Assistenza, ma è determinato a monte nella programmazione del bilancio pubblico, e ripartito tra le Regioni sulla base della dimensione della popolazione e della quota di anziani. Un metodo che, come la Svimez ha ribadito, non tiene conto dei fattori socioeconomici che impattano sui fabbisogni di cura e assistenza, e finisce per penalizzare i cittadini delle regioni meridionali, che soffrono di minori servizi di cura per quantità e qualità».

Recentemente avete presentato un report su “Un paese, due cure”, da cui emerge con chiarezza che l’autonomia differenziata aggrava le diseguaglianze.

«La scelta di molti cittadini del Mezzogiorno di ricevere assistenza nelle strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per curare le patologie più gravi, è la inevitabile conseguenza di una realtà dove i divari Nord-Sud nella qualità dei Sistemi Sanitari Regionali, sono sotto gli occhi di tutti».

Perché, a suo parere, c’è tanta contrarietà all’autonomia differenziata nel Mezzogiorno?

«Questo modello di autonomia, assolutamente anomalo nel panorama europeo, perché parliamo di un’autonomia differenziata in un Paese centralista, produrrà una frammentazione dell’Italia e non solo cristallizzerà le disuguaglianze già presenti tra Nord e Sud ma indebolirà complessivamente la capacità competitiva del Paese, frammentando la gran parte delle politiche pubbliche e danneggiando anche il Nord».

Direttore, secondo lei ci sono settori strategici che sarebbe meglio continuare a governare dal centro? E, se sì, quali?

«Sì, sia per ragioni di competitività economica che di tenuta sociale, in particolare istruzione e sanità, rispetto ai quali il rischio è proprio quello dell’ampliamento dei divari già presenti nell’offerta dei servizi, cosa che non paventa solo la Svimez ma da ultimo sulla sanità anche la Banca d’Italia».

C’è chi sostiene che questa legge metterebbe addirittura a rischio la competitività dell’Azienda Italia, che ne pensa?

«Tra tanti temi, si interverrebbe in settori come le grandi infrastrutture, l’energia e alcune regole relative al mercato del lavoro, che finirebbero per creare difficoltà alle imprese che sarebbero costrette a districarsi tra le diverse norme delle differenti regioni».

Ma se ci sono Regioni del Nord, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Ro-magna, che sono in grado di correre più di altre, segnatamente quelle meridionali, utilizzando al meglio le loro risorse, perché non dovrebbe essere consentito loro di sfruttare quest’opportunità?

«È fuorviante ridurre l’intero ragionamento alle sole risorse. Peraltro, nella fase acuta della pandemia, e anche dopo lo scoppio della guerra tra Russa e Ucraina, ci siamo tutti resi conto che servono politiche coordinate a livello nazionale. Non discuto che trattenere risorse sui singoli territori forse potrebbe garantire qualche servizio in più, ma finirebbe per sottrarle al resto del Paese, ampliando le disuguaglianze. Proprio mentre stiamo dando attuazione al Pnrr che tra i suoi obiettivi di fondo mette la coesione territoriale».

C’è un punto sul quale non è mai stata fatta sufficiente chiarezza, il federalismo fiscale in Italia esiste da anni ma finora è rimasto sempre sulla carta. Secondo lei per quale motivo?

«lo ritengo che con l’autonomia differenziata si blocchi il percorso di attuazione del federalismo, un processo simmetrico che andrebbe a vantaggio di tutti i territori. L’autonomia differenziata è sostanzialmente il modello delle Regioni a statuto speciale, esperienza che conosciamo bene e che comporta costi molto più elevati e variazioni di servizi molto ampia, basti pensare a Trentino-Alto Adige e Sicilia agli antipodi tra loro. Si tratta di un modello alternativo al federalismo fiscale, che invece è una attuazione ordinata di questo processo, con paletti precisi come l’indicazione dei Livelli essenziali di prestazione e un Fondo di Perequazione».

Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono convinte che l’autonomia differenziata sia una riforma in evidente ritardo, che si sarebbe potuta realizzare ben prima se non ci fosse stata la netta opposizione del Sud. Hanno torto?

«Le pre-intese firmate dalle tre Regioni del Nord col Governo Gentiloni avevano un chiaro obiettivo: trattenere più risorse e utilizzare l’autonomia per legare il finanziamento dei servizi pubblici al gettito maturato nei territori».

A suo parere l’autonomia differenziata non favorirebbe un uso più responsabile delle risorse pubbliche?

«No, poiché si prevede di finanziare le funzioni decentrate non già con la tassazione locale, ma con compartecipazioni al gettito nazionale Irpef o Iva, con un’aliquota costante fissata nel primo anno dell’intesa. Ciò farà dipendere l’effettiva disponibilità di risorse della Regione con autonomia rafforzata dall’andamento nel proprio territorio del tributo compartecipato. Negli anni successivi alla stipula dell’intesa, questo meccanismo può determinare un extra-finanziamento svincolato da meccanismi di responsabilizzazione ed efficientamento della spesa. Come Svimez stimiamo che, se fossero state approvate le pre-intese del 2018, si sarebbe generato un surplus a favore delle tre Regioni compreso tra 6 e 9 miliardi».

Condividi

Notizie correlate

Cerca nel sito

Inserisci una parola chiave per cercare nel titolo, contenuto o riassunto