La sintesi dell’audizione Svimez sull’attuazione e le prospettive del federalismo fiscale
Due questioni ignorate
I più recenti avanzamenti normativi in materia di Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e perequazione infrastrutturale, nell’ambito dell’attuazione delle previsioni dell’art. 116 terzo comma della Costituzione, ignorano due fondamentali questioni.
Lep e perequazione infrastrutturale dovrebbero trovare compiuto riconoscimento nella legislazione nazionale indipendentemente dall’autonomia differenziata se l’obiettivo è rendere effettivo il principio di parità di condizioni di accesso ai servizi su tutto il territorio nazionale.
I due pilastri del federalismo simmetrico e cooperativo andrebbero «costruiti» in parallelo, secondo princìpi e criteri comuni, seguendo procedure coordinate e convergenti per tempistica, basandosi su una comune delimitazione del perimetro delle prestazioni «concernenti i diritti civili e sociali», e individuando, di conseguenza, condivise priorità di intervento.
Ad avviso della Svimez, l’accelerazione impressa all’attuazione dell’art. 116 terzo comma della Costituzione pare interferire con queste basilari questioni, pregiudicando le finalità di equità e solidarietà nazionale del federalismo fiscale.
Livelli essenziali delle prestazioni
La Legge di bilancio per il 2023 ha introdotto un legame improprio tra Lep e attuazione dell’autonomia differenziata. Si prevede una procedura accelerata, da completarsi entro un anno, per i Lep nelle materie di interesse per le ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia previste dall’art. 116 comma terzo della Costituzione. Lasciare a tempistiche indefinite la definizione dei Lep negli altri ambiti implica l’evidente rischio di rallentare ulteriormente l’attuazione della legge delega n. 42 del 2009. Se il federalismo simmetrico procede con tempi indefiniti, mentre quello asimmetrico accelera, si complicherà ulteriormente il quadro già intricato dei rapporti finanziari tra Stato e Regioni a statuto ordinario, creando uno iato tra materie o ambiti di materie (incluse / escluse dall’autonomia differenziata) difficilmente colmabile.
Il Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Clep) ha individuato gli ambiti in cui i Lep rilevano. Secondo le valutazioni dell’ex Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il Clep non avrebbe però sciolto il nodo fondamentale relativo alla definizione dei Lep, ossia l’indicazione delle loro caratteristiche in termini di prestazioni effettive da erogare. Le prestazioni qualificate come Lep sono «nella maggior parte dei casi formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere dichiarazioni di principio». Anche i criteri di misurabilità individuati dal Clep, tenderebbero a basarsi solo sulla platea dei potenziali beneficiari delle prestazioni, restando indeterminato il contenuto delle prestazioni da erogare.
Il ddl Calderoni interviene in materia di Lep, subordinando alla loro determinazione e al loro finanziamento, da attuare nel rispetto dei vincoli di bilancio, l’attribuzione di forme di autonomia differenziata nelle materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali da garantire in tutto il territorio nazionale. Resta però irrisolta una questione fondamentale. I princìpi e i criteri direttivi che dovrebbero guidare l’individuazione dei Lep sarebbero da reperire nella Legge di bilancio per il 2023, la quale, però, a sua volta ha definito solo gli aspetti procedurali della materia. Perciò, la questione viene regolamentata solo nei suoi aspetti tecnici, di fatto declassandola a un atto burocratico senza la necessaria assunzione di responsabilità politica sugli obiettivi di equità e di riequilibrio territoriale da perseguire. In definitiva, l’unico aspetto assodato in materia di Lep, ad oggi, è che la spesa associata al loro finanziamento deve essere compatibile con l’equilibrio di bilancio, vale a dire che i servizi a garanzia dei diritti civili e sociali uniformi su tutto il territorio nazionale vanno finanziati nei limiti delle risorse iscritte nel bilancio dello Stato a legislazione vigente.
Perequazione infrastrutturale
L’art. 22 «Perequazione infrastrutturale» della legge delega n. 42 del 2009 prevedeva una ricognizione dei gap territoriali nella dotazione di infrastrutture come fase propedeutica alla perequazione. La via indicata era fortemente innovativa: impostare la programmazione degli investimenti sulla base dei fabbisogni dei diversi territori: se l’obiettivo è ridurre gli squilibri, occorre partire dalla loro rilevazione; le risorse vanno quantificate successivamente, in funzione dei vincoli di finanza pubblica e dei tempi entro i quali si intende ridurre gli squilibri stessi. Come noto, queste previsioni non hanno trovato attuazione per diverse ragioni: le complicazioni di ordine tecnico legate alle difficoltà di valutazione dei deficit da colmare; gli stringenti vincoli di finanza pubblica; le conseguenti difficoltà di programmazione dell’impegno finanziario in un arco temporale di medio-lungo periodo, che tipicamente presenta notevoli margini di incertezza.
Il DL n. 121/2021 «Disposizioni urgenti in materia di perequazione infrastrutturale» ha ereditato un limite storico della programmazione nazionale degli investimenti orientati al riequilibrio territoriale. Al di là dell’enunciazione dell’obiettivo di riduzione dei divari territoriali, non sono stati previsti, fra i criteri ispiratori della perequazione, livelli minimi di dotazione infrastrutturale da garantire per assicurare l’erogazione e l’accesso a livelli di servizi uniformi sul territorio nazionale. Il Ministero per le Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili ha successivamente effettuato una ricognizione dei gap infrastrutturali in quattro settori: istruzione, trasporti, sanità, idrico. Tuttavia, a seguito di tale ricognizione, non sono stati definiti i criteri di priorità e le azioni da perseguire per il recupero del divario infrastrutturale. Successivamente, la legge di bilancio per il 2024 ha definanziato il Fondo perequativo infrastrutturale di 3,5 miliardi, azzerandone la dotazione per il triennio 2024-26.
Ad avviso della Svimez, andrebbe ripreso il percorso di ricognizione dei gap infrastrutturali intrapreso con l’Allegato al Def 2022. Gli indicatori di dotazione infrastrutturale nei settori individuati dal DL n. 121/2021 andrebbero però utilizzati, oltre che per calcolare indici di variabilità regionale funzionali all’allocazione territoriale delle risorse, anche per verificare le situazioni in cui la dotazione infrastrutturale si ponga al di sotto del livello minimo necessario per assicurare correttamente l’accesso ai Lep.
Federalismo simmetrico e cooperativo e autonomia differenziata
Siamo alla vigilia della fase conclusiva del dibattito parlamentare per l’approvazione del ddl Calderoli. La Svimez ha segnalato le anomalie delle modalità attuative dell’autonomia differenziata rispetto a un percorso costituzionalmente corretto, finanziariamente sostenibile e coerente con i princìpi di equità e solidarietà nazionale.
Ad avviso della Svimez, su gran parte dei punti illustrati nell’ultima Relazione del 2021 sullo stato di attuazione del federalismo fiscale, l’approvazione nella veste attuale del ddl Calderoli avrebbe significative conseguenze che comprometterebbero l’attuazione del federalismo simmetrico e cooperativo previsto dalla legge 42/2009. In particolare, il ddl vanificherebbe l’obiettivo del superamento del criterio della spesa storica nelle materie extra-Lep, accentuerebbe le problematicità del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e pregiudicherebbe il superamento dei divari regionali nelle dotazioni infrastrutturali.
Le modalità di finanziamento delle funzioni conferite nell’ambito del federalismo asimmetrico, prevedono come fonte di finanziamento la compartecipazione regionale a uno o più tributi erariali maturati nel territorio della regione. Il testo originario del ddl prevedeva, in particolare, aliquote di compartecipazione fissate al momento di avvio delle intese, di importo commisurato alla spesa storica, e mantenute costanti negli anni successivi. Con questa impostazione, la Svimez ha stimato che, se l’autonomia fosse stata concessa nell’anno delle pre-intese, le tre regioni richiedenti avrebbero beneficiato di un surplus pari a circa 5,7 miliardi nel caso di compartecipazione Irpef e di oltre 9 miliardi nel caso di compartecipazione Iva e Irpef, non motivato da guadagni di efficienza né da meccanismi di responsabilizzazione della spesa per le funzioni delegate.
I rischi che questa forma di surplus finanziario avrebbe comportato per la tenuta dei conti pubblici e l’entità della perequazione interregionale, sono stati solo parzialmente scongiurati dalle modifiche apportate al testo.
Sempre in tema di finanziamento delle funzioni regionalizzate, il federalismo asimmetrico avrebbe rilevanti ricadute sulle finanze pubbliche nazionali, con particolare riferimento alla dimensione dello spazio fiscale per l’azione redistributiva e la garanzia degli obiettivi di uniformità delle prestazioni a livello nazionale. A tal proposito, la Svimez ha quantificato il valore finanziario delle funzioni delegabili sulla base dei testi delle pre-intese e stimato le quote di compartecipazione necessarie al finanziamento delle competenze decentrate che sarebbero state necessarie a finanziare tutte le ulteriori forme di autonomia previste nelle pre-intese, nelle due ipotesi di compartecipazione ai gettiti Irpef e Iva. Le funzioni delegate avrebbero assorbito larga parte dell’Irpef regionale: il 90% circa nel caso del Veneto, quote tra il 70 e l’80% per Lombardia ed Emilia-Romagna. Di fatto, sarebbe emerso un sistema di finanziamento molto simile a quello utilizzato per le regioni a statuto speciale.