Luca Bianchi è il direttore generale di Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Direttore, la Commissione europea ha presentato il nuovo Quadro finanziario pluriennale, definendolo il più ambizioso di sempre. Qual è la sua prima valutazione e quali sono i pericoli per il Mezzogiorno?
«L’esigenza di una riforma del bilancio di coesione dell’Ue, che mira a rendere il meccanismo più efficace e reattivo, è condivisibile. Era un passo necessario. Tuttavia, il punto di caduta, ossia la proposta finale, è oggettivamente preoccupante. Ci sono elementi di forte allarme per il Mezzogiorno, sia per quanto riguarda le politiche le politiche agricole che per quelle relative ai fondi di coesione».
Più risorse per il digitale e soprattutto per la difesa, quindi per il riarmo, e tagli su agricoltura e politiche di coesione. E questa la strada giusta e cosa la preoccupa maggiormente?
«Innanzitutto, non c’è più una predestinazione delle risorse. Questo significa che, a differenza del passato, i fondi non saranno automaticamente assegnati ma diventeranno oggetto di negoziazione all’interno dei piani nazionali. L’aggravante è che, complessivamente, ci saranno minori risorse disponibili. Sui fondi per il riarmo come Svimez abbiamo sottolineato più volte le nostre forti perplessità. La Commissione ha introdotto nuove priorità, come il digitale e la difesa, puntando quindi più sull’esigenza di competitività e meno sulle esigenze territoriali. Questo rischia di tradursi in forti riduzioni per le aree deboli e, purtroppo, in una nuova guerra tra i più poveri per spartirsi le risorse tra fondi di coesione e agricoltura».
Di cosa ha bisogno ora il Mezzogiorno per crescere?
«Il Sud ha un bisogno impellente di una politica agricola forte, orientata verso un’agricoltura smart e innovativa. Ma non solo. Ha bisogno di politiche mirate alla riduzione dei divari economici e strutturali, che possano davvero ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali. La pur condivisibile esigenza di riformare non può essere pagata dai territori più deboli e da un settore strategico per il Mezzogiorno come l’agricoltura e, di conseguenza, dalla sostenibilità stessa dei territori meridionali».
Come si può conciliare la necessità di una riforma con la protezione delle aree più svantaggiate?
«Non dobbiamo rifiutare le riforme in sé, perché ne abbiamo bisogno. Ma ê necessaria un’altissima vigilanza affinché questa riforma non si trasformi in un ulteriore problema per le aree più povere. Quella che dovrebbe essere una possibilità di miglioramento potrebbe invece diventare un rischio. Dobbiamo cambiare la politica di coesione, ma serve che ci siano chiare garanzie sulle risorse. C’è il rischio aggiuntivo che molte risorse saranno destinate ad affrontare emergenze e crisi, aumentando la flessibilità nella loro gestione. La coesione, però, è un pilastro fondamentale del modello economico e sociale dell’Ue, non può essere solo un serbatoio per le emergenze. Deve continuare a essere uno strumento di sviluppo strutturale».
Guardando ad un orizzonte più ampio, i tagli dell’Ue rischiano di fare il paio con l’introduzione dei dazi di Trump in un mix micidiale per il Sud?
«I dazi tendono a impattare maggiormente sull’economia del Nord, che e più strutturata e integrata nel commercio internazionale. Tuttavia, anche il Mezzogiorno rischia di vedere compromesso il suo percorso di crescita in settori innovativi come il farmaceutico e l’agroalimentare. Un’introduzione di dazi al 30% potrebbe portare al Sud una contrazione dell’export del 20%, pari a 1 miliardo e 300 milioni di minori esportazioni e la perdita di 16mila posti di lavoro. Questo dimostra che servono risposte coese da parte dell’Ue, serve più unità e più coesione anche nelle risposte alle sfide esterne. Dobbiamo cercare una trattativa che valuti una risposta unica, attraverso il dialogo tra i Paesi e poi nel Parlamento europeo. Per il Quadro finanziario auspico poi che ci sia la possibilità di una mediazione alta che passi dal rafforzamento del ruolo, della missione e delle dimensioni del bilancio europeo».