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7 Luglio 2020

Italiani all’estero

La sintesi della memoria Svimez sulla questione degli italiani all’estero

Le emigrazioni degli italiani: una questione ancora aperta

L’Italia è tra i paesi industrializzati con la più alta mobilità, posizionandosi tra le principali nazioni di emigrazione verso stati industrializzati. Il fenomeno migratorio ha segnato profondamente la storia italiana, evolvendosi nel tempo in risposta a trasformazioni economiche e sociali. La dimensione territoriale ha sempre giocato un ruolo cruciale, evidenziando le differenze tra le varie aree del paese, con una forte polarizzazione Nord-Sud.

Dal periodo post-unitario fino alla Prima Guerra Mondiale, l’Italia ha vissuto un’ondata di emigrazione transoceanica senza precedenti, con picchi nel 1913 (873 mila espatriati). Il Mezzogiorno è stato il principale serbatoio di emigrazione, rappresentando fino al 50% delle partenze. Dopo una pausa tra le due guerre, il fenomeno riprese nel secondo dopoguerra, con un aumento delle migrazioni intraeuropee, sancendo la meridionalizzazione dell’emigrazione italiana. Nel 1963, il 75% degli espatriati proveniva dal Sud.

A partire dagli anni ’70, la crisi economica ridusse drasticamente le partenze verso l’estero, mentre aumentavano i flussi interni dal Sud al Nord Italia.

Dal 1976 al 2018, il Mezzogiorno ha perso 5 milioni di persone verso il Centro-Nord, con un saldo netto negativo di oltre 2 milioni.

La nuova migrazione e la fuga dei giovani laureati

Negli ultimi vent’anni, l’emigrazione italiana è tornata a crescere, coinvolgendo non solo il Sud, ma anche il Nord. Dal 2015, l’Italia ha iniziato a perdere popolazione, con una previsione di calo di 6,4 milioni di abitanti entro il 2065. Il Mezzogiorno sarà l’area più colpita, perdendo quasi 5 milioni di residenti e subendo un forte invecchiamento demografico.

La recente ondata migratoria è caratterizzata da una significativa presenza di giovani altamente qualificati, con un aumento dell’emigrazione dei laureati dal 10% nei primi anni 2000 a oltre il 25% oggi. Nel Mezzogiorno il fenomeno è ancora più marcato: il numero di laureati emigrati è quintuplicato, toccando il 24,7% del totale.

Questa fuga di capitale umano è aggravata dalla carenza di opportunità lavorative qualificata per la debolezza del tessuto produttivo.

Crisi demografica e crisi economica

La struttura demografica italiana è sempre più fragile: la riduzione delle nascite e l’intensificazione dell’emigrazione stanno riducendo il potenziale produttivo del paese. Nel Mezzogiorno, il calo della popolazione in età lavorativa (-5 milioni entro il 2065) avrà un impatto significativo sulla crescita economica. Il sistema pensionistico e sanitario saranno messi sotto pressione da una popolazione sempre più anziana.

La sfida della misurazione dei flussi migratori

L’Italia fatica a monitorare accuratamente i flussi migratori, con un sottostimato numero di espatriati. I registri anagrafici presentano forti lacune, con una sottovalutazione delle partenze degli italiani e una sovrastima delle immigrazioni. Secondo alcune rielaborazioni, invece di un saldo positivo di 274 mila unità nel 2014-2015, si sarebbe verificata una perdita migratoria di 54 mila unità.

L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) offre un quadro più realistico della diaspora italiana, contando nel 2018 oltre 5,2 milioni di italiani all’estero, principalmente in Europa (54,3%) e nelle Americhe (40,2%). Le regioni con il maggior numero di emigrati sono Sicilia, Campania, Lombardia e Lazio. Tuttavia, l’AIRE non garantisce una completa copertura del fenomeno, evidenziando la necessità di un sistema più efficiente per il monitoraggio della mobilità.

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