
di Adriano Giannola
su Corriere del Mezzogiorno Napoli e Campania
La forte scossa conseguente al fenomeno bradisismico nell’area flegrea avvertita nella notte tra mercoledì e ieri impone che si cominci almeno a valutare, nelle sedi opportune, se possa servire o meno a Napoli una strategia imperniata sulla mitigazione di questo rischio. Bisogna superare la colpevole inerzia sia locale che nazionale e puntare a creare condizioni favorevoli alla ricollocazione altrove, almeno nel medio-lungo termine, di fasce di popolazione.
Circostanza esplicitamente prevista dal piano nazionale di evacuazione della popolazione a rischio da ricollocare nelle altre regioni del Paese. In questo senso la proposta che ho recentemente lanciato, di ricollocazione sull’asse attrezzato Napoli-Bari può avere un senso e quanto meno essere discussa, certo sempre d’intesa con i cittadini interessati. Non dimenticando che qualcosa di simile avvenne dopo il tragico terremoto del 1980, quando una fetta significativa di abitanti del Centro storico fu spostata verso Monteruscello.
Più in generale, indipendentemente da eventi catastrofici, lungo l’asse Napoli-Bari, che sarà presto servito dalla linea di alta velocità / capacità in costruzione, si potrebbero reinsediare sia fasce di popolazione, sia servizi, ridando così funzione a zone interne, ora quasi abbandonate, dell’Irpinia e del Sannio e contribuendo per questa via al realizzare la Grande Città Campana.
Piuttosto che congestionare centro e periferie dell’area metropolitana di Napoli. È così, a mio parere, che si può affrontare davvero il tema della rigenerazione urbana della più popolosa metropoli del Mezzogiorno. Un’efficace rigenerazione urbana postula strategie integrate e misure volte, contestualmente, alla riqualificazione edilizia ed ambientale del tessuto sociale e produttivo e al perseguimento di un sistema urbano più vivibile e inclusivo di una Napoli oggi in grave crisi demografica e produttiva. Un tale piano di valorizzazione delle zone interne potrebbe anche essere utilizzato di fronte a un’emergenza, al fine di evitare l’espulsione della popolazione interessata al di fuori dei confini regionali, come prevedono i piani nazionali di evacuazione a fronte delle catastrofi.
Leggo che il geologo Mario Tozzi proprio ha lamentato che, invece di persuadere la gente ad andar via, è stata invogliata a vivere nell’area flegrea, continuando a costruire, condividendo quindi la esigenza di formulare una strategia di una mitigazione del rischio vulcanico e bradisismico. A tal proposito vorrei ricordare che nel 2019 un ordine del giorno di alcuni consiglieri regionali campani, primo firmatario l’attuale presidente dell’Assemblea Gennaro Oliviero, che faceva seguito alla legge 31, invitava la Giunta a dotarsi di «un piano di allontanamento della popolazione residente nelle zone rosse vesuviana e flegrea in caso di rischio vulcanico, puntando proprio sulla valorizzazione delle aree interne».
Snocciolando anche alcuni numeri: la popolazione da evacuare è pari a 1.250mila abitanti, di cui 550mila per l’area flegrea. Mi rendo perfettamente conto che nella fase attuale dell’emergenza può apparire velleitario e fuori luogo, ma non sottovalutiamo il fatto che l’area flegrea ha nelle sue viscere un’importante ricchezza energetica, quella geo-termica, fonte finora non percepita come occasione di rinascita ed anzi esorcizzata oltre che inutilizzata. Eppure, si stima un enorme potenziale geotermico, valutato in almeno 17 Gigawatt, in un contesto di bassa entalpia, e perciò a costi contenuti per la perforazione, con valide garanzie di sicurezza e i conseguenti, enormi vantaggi di un utilizzo possibile in zone ad altissima urbanizzazione.
Ecco, ciò che auspico oggi, a Napoli, è un’operazione verità affidata a chi amministra responsabilmente i territori.