La Stampa
di Paolo Baroni
“Così si cristallizzano le diseguaglianze. Perde anche il Nord”
Il direttore di Svimez: “Si definiscono i Lep ma non si prevedono le risorse per finanziarli”
«Questo modello di autonomia, assolutamente anomalo nel panorama europeo, perché parliamo di una autonomia differenziata in un Paese centralista, produrrà una frammentazione del Paese. E non solo cristallizzerà le disuguaglianze già presenti tra Nord e Sud ma indebolirà complessivamente la capacità competitiva del Paese, frammentando la gran parte delle politiche pubbliche e danneggiando anche il Nord» sostiene Luca Bianchi, direttore della Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Ci sono settori strategici che sarebbe meglio continuare a governare dal centro?
«Assolutamente sì, sia per ragioni di competitività economica che per ragioni di tenuta sociale».
Tipo?
«Nel campo sociale, ovviamente istruzione e sanità, rispetto ai quali il rischio è proprio quello dell’ampliamento dei divari già presenti nell’offerta dei servizi, cosa che non diciamo solo noi ma da ultimo sulla sanità anche Bankitalia».
E perché sarebbe a rischio la competitività?
«Perché, tra i tanti temi, si interverrebbe in campi come le grandi infrastrutture, l’energia e alcune regole relative al mercato del lavoro, che tra l’altro finirebbero per creare difficoltà alle imprese che dovrebbe districarsi tra le diverse norme delle diverse regioni».
Ma se le regioni del Nord possono correre di più sfruttando le loro risorse non è un vantaggio per quei territori?
«Non credo che si produca un vantaggio, perché le risorse non sono tutto e poi, come si è visto col Covid e nell’emergenza post Ucraina, alla fine politiche coordinate a livello nazionale servono sempre. Trattenere risorse sui singoli territori forse potrebbe garantire qualche servizio in più ma finirebbe per sottrarle al resto del Paese ampliando le disuguaglianze».
Il federalismo fiscale è rimasto sulla carta.
«No, peggio: con l’autonomia differenziata si blocca il percorso di attuazione del federalismo, un processo simmetrico che andrebbe a vantaggio di tutti i territori. L’autonomia differenziata è sostanzialmente il modello delle Regioni a statuto speciale, esperienza che conosciamo bene e che comporta costi molto più elevati e variazioni di servizi molto ampia, basti pensare a Trentino-Alto Adige e Sicilia agli antipodi tra loro. In pratica è un modello alternativo al federalismo fiscale, che invece è una attuazione ordinata di questo processo, con paletti precisi come l’indicazione dei Livelli essenziali di prestazione, i Lep, ed un fondo di perequazione».
Anche Meloni li prevede.
«In realtà il tema viene derubricato a puro passaggio burocratico perché si definiscono i Lep ma non si prevedono le risorse per il loro finanziamento».
«Obiezioni ideologiche», direbbero dal governo.
«La nostra non è una obiezione ideologica perché l’autonomia differenziata nel corso degli anni è stata portata avanti da tutti gli schieramenti politici. Le nostre sono osservazioni di merito: per noi questo è un modello sbagliato che non serve al Paese. Non serve nemmeno al Nord e credo che buona parte del mondo produttivo se ne renda conto come conferma la freddezza progressiva di Confindustria sul tema».
Questa riforma può essere incostituzionale?
«L’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione. Più che altro credo che questa riforma del governo si presti ad un grandissimo conflitto istituzionale, perché la confusione nelle competenze che genererà creerà un enorme contenzioso soprattutto su materie molto caratterizzanti dell’unità nazionale come sanità e istruzione. L’incostituzionalità potrà verificarsi quando i Lep non verranno realizzati, ma si vedrà dopo».
Forse è lo spirito della Costituzione ad essere stato tradito.
«Esatto. E soprattutto c’è il problema di tenere insieme diversi principi fissati dalla Carta e capire se l’attuazione dell’autonomia differenziata confligge con articoli che prevedono l’eguaglianza nell’offerta dei servizi».