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2 Dicembre 2024

Zes unica e “in purezza”, che strategia a Sud

di Adriano Giannola

Entro luglio, il presidente del Consiglio, su proposta del ministro per il Sud e la Coesione, di concerto con il ministro dell’Economia, delle Infrastrutture, delle Imprese e del Mare, dovrà aggiornare il Piano strategico della Zes Unica, così prevede l’articolo Il del Decreto coesione. E’ l’occasione per illustrare obiettivi e strategie del governo per il Mezzogiorno. Sarà possibile rilevare se prevarrà la policy che indirizza massicci flussi di risorse pubbliche verso la decontribuzione Sud, misura non selettiva di intervento sul costo del lavoro per unità di prodotto, a compensazione di una minor produttività delle imprese meridionali rispetto al Centro-Nord. La misura -in scadenza – era stata negoziata al 30%, con l’Unione Europea, in palese deroga delle regole sulla concorrenza. Su questo fronte, quindi, nulla di nuovo rispetto al 1994, quando con l’accordo Van Miert-Pagliarini la Commissione di Bruxelles impose all’Italia di cancellare la fiscalizzazione – integrale o quasi- degli oneri sociali. Alla decontribuzione subentrano i bonus giovani e donne della Zona Economica Speciale Unica: risorse pluriennali per circa 10 miliardi.

L’alternativa più appropriata a decontribuzione e bonus è il credito di imposta, una misura di politica dell’offerta, che più che alla compensazione, mira alla promozione della competitività. Rispettosa della normativa europea in materia di Aiuti di Stato nella misura massima consentita dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022/2027, essa è prevista per investimenti nella Zes Unica a favore delle imprese nuove o già operative nel Mezzogiorno che acquistano beni strumentali. La scelta di come bilanciare il mix tra decontribuzione-bonus e credito di imposta è evidentemente tutt’altro che neutrale, ponendo in alternativa il costoso vantaggio immediato di un sostegno non selettivo più o meno assistenziale rispetto alla strategia di promuovere in conto capitale nuove iniziative, consolidamento, ricomposizione e crescita strutturale: in breve “lo sviluppo” che è cosa ben diversa -a pari costo- di una più o meno assistita “continuità”.

La scelta a favore dello sviluppo certo coraggiosa è la più opportuna quando e se si persegue una chiara strategia. Il persistente e consistente differenziale di produttività delle imprese del Sud -a pari dimensioni e settori di operatività- deriva, in misura decisiva, da macroscopiche diseconomie esterne, ben radicate nel territorio ed imputabili a storiche carenze e inefficienze istituzionali. Non è azzardato dire che se i circa 10 miliardi, sostanzialmente di spesa corrente, della decontribuzione fossero efficientemente dedicati ogni anno a colmare gap infrastrutturali materiali e immateriali utili a ridurre quelle diseconomie esterne, il dilemma tra assistenza e sviluppo sarebbe molto meno condizionante. Tutto ciò incide certo sulla manovra 2025 messa a punto dal governo, ulteriormente vincolata a contenere la spesa nei parametri europei del Patto di Stabilità e che deve confrontarsi con l’esigenza di garantire la dose minima di assistenzialismo attraverso la richiesta di proroga della decontribuzione o, addirittura, di renderla permanente, anche a costo di spiazzare le risorse destinate alla promozione dello sviluppo.

Quanto sia concreto il problema della scelta tra assistenzialismo riparatore e sviluppo è stato ben evidenziato proprio dalla vicenda del credito di imposta sui nuovi investimenti nella Zes unica che, la scorsa estate, ha determinato il corto circuito tra il ministro e l’Agenzia delle Entrate, la quale, a fronte dello stanziamento di 1,8 miliardi per finanziare la misura, ha calcolato in meno del 20% il vantaggio effettivo per gli investitori. Se in quell’occasione il ministro ha aumentato lo stanziamento da 1,8 a 3,2 miliardi, oggi la legge di bilancio 2025 stanzia 1,6 miliardi per il solo 2025, senza definire un quadro di medio periodo per gli incentivi fiscali della Zes unica. In sostanza lo strumento più diretto a stimolare nuovi investimenti è significativamente razionato. Mentre si elimina l’incertezza per il bilancio pubblico, crescono rischi e incertezze sui benefici per le imprese beneficiarie, due aspetti fondamentali nella decisione di investimento.

Di particolare rilievo è l’annuncio di una politica industriale del prossimo piano strategico della Zes Unica centrata su filiere: Agroindustria, Turismo, Elettronica e ICT, Automotive, Made in Italy, Chimica e farmaceutica, Navale e cantieristica, Aerospazio e Ferroviario e sullo sviluppo di tecnologie sostenibili da promuovere – digitali, biotecnologie da promuovere. E anche da apprezzare l’intento di coordinare nel Piano strategico il Pnrr e le programmazioni nazionali e regionali dei fondi strutturali europei. Un’ esigenza di coordinamento che intervenga nelle complicate geometrie variabili tra fondi di Coesione e Pnrr oggi vasi comunicanti rispetto, all’originale, rigida incompatibilità. Anche su questi versanti una stringente logica di sinergia e di integrazione riduce i fattori di incertezza che di fatto rafforzano per default il rilievo ed il ricorso a misure di assistenza.

Proprio per incidere su questo contesto, la realizzazione della Zes unica deve accortamente far leva sul patrimonio delle otto Zes “in purezza” oggi nel limbo. Zes e Zls del Centro-Nord sono i capisaldi per attrezzarsi a cogliere e non sprecare l’enorme potenzialità di rendita posizionale del Paese aperta dalla doppia transizione verso gli obiettivi 2030 e 2050. Le Zes in purezza sono fondamentali poli dai quali avviare dal Sud una reazione a catena che consenta al bene posizionale Italia di attingere alla rendita mediterranea. L’evidente spazio per articolare una strategia di sistema impone di concentrare strategie, interventi e risorse che vedano il protagonismo del sistema dei porti e retro-porti, attrezzati e fortemente favoriti dai privilegi di Zone Doganali Intercluse – al momento sostanzialmente inesistenti – che chiamano in causa il coordinamento strategico del sistema delle Autorità Portuali.

Per sfuggire al dilemma tra assistenzialismo e razionamento dello sviluppo, occorre maturare un’analitica e consapevole operatività di sistema, indispensabile al fine di porre con aggiornato realismo, su basi solide ed operative, il vantaggio competitivo fin qui inseguito senza successo o, meglio, fin qui ignorato, della nostra centralità strategica nel Mediterraneo.

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