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29 Agosto 2024

L’epoca della Cassa e le aree meridionali da sostenere

di Filippo Sbrana
su Il Sole 24 Ore 

Sono trascorsi quarant’anni dallo scioglimento della Cassa del Mezzogiorno, nell’agosto del 1984. Un ente spesso criticato, ma che ha avuto l’indubbio merito di favorire la crescita del Sud. Mentre si discute di autonomia differenziata, ripercorrere la storia di questo organismo aiuta a capire com’è cambiato l’approccio dell’Italia verso le aree arretrate e perché in queste settimane tanti stanno firmando per il referendum.
La Cassa fu voluta da Alcide De Gasperi, a partire da un progetto della Svimez, in una fase storica in cui la questione meridionale era al centro delle preoccupazioni del Paese. L’ente fu creato nel 1950 con una significativa dotazione finanziaria e attuò un piano di interventi che cambiò radicalmente il volto del Sud: acquedotti, fognature, bonifiche, strade, ferrovie e molto altro. Dal 1957 si puntò soprattutto sull’industria. I risultati furono notevoli e il Mezzogiorno crebbe a ritmi elevati, dando un importante contributo al “miracolo economico”.
La svolta negativa prese avvio nel 1970 con l’istituzione delle regioni, che in poco tempo ‘inserirono nella gestione. Si verificò una crescente commistione fra tecnici e politica che fece perdere efficienza alla Cassa. Le logiche dei partiti presero il sopravvento sul carattere tecnico delle decisioni, favorendo scelte opache e grandi sprechi. Tale dinamica si accentuò dopo lo shock petrolifero del 1973, mentre a livello nazionale si faticava a trovare una via per uscire dalla crisi energetica. Le critiche alla Cassa aumentarono, finché nell’agosto 1984 si giunse allo scioglimento – per la mancata conversione di un decreto legge dovuta alle molte assenze di deputati della maggioranza – senza però elaborare un disegno alternativo per il Sud.

I finanziamenti pubblici continuarono ad affluire nel Mezzogiorno ma in larga parte vennero gestiti con scopi clientelari, finendo per favorire anche la criminalità organizzata. In tale situazione prese il sopravvento un’idea già presente a livello di dibattito, per cui il ritardo del Sud era giudicato irrisolvibile.
Un convincimento che fece breccia soprattutto al Nord e favori l’affermazione della Lega. Per questo i primi passi della Seconda Repubblica privilegiarono quella che venne chiamata la questione settentrionale, mentre si esauriva l’attenzione per il Mezzogiorno che uscì dalle priorità del Paese. Tale impostazione conquistò l’intero arco parlamentare, tanto che si deve al centrosinistra la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, anche per la mancanza di una classe dirigente meridionale capace di interpretare le esigenze del Sud. La recente legge sull’autonomia differenziata è il punto di arrivo di questo processo e dei cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni.
Fino a poche settimane fa il Paese sembrava aver accettato acriticamente questa evoluzione, ma la rapida raccolta delle firme per il referendum è un segnale di forte discontinuità. Non si tratta di una rinnovata contrapposizione Nord-Sud perché le adesioni sono venute da tutto il Paese. E emersa invece da parte di tanti la volontà di unire piuttosto che dividere, di cercare soluzioni comuni e diritti per tutti. Si è manifestato un chiaro “no” verso quello che appare a molti come un egoismo delle regioni più ricche, per riaffermare un’idea di nazione in cui si hanno i medesimi diritti di cittadinanza, al di là dell’area in cui si abita. La stessa visione per cui il ritardo del Mezzogiorno è stato a lungo considerato nella storia d’Italia una grande questione nazionale.

In attesa delle valutazioni della Corte costituzionale sull’ammissibilità del quesito referendario, alcune conseguenze politiche si colgono già oggi. Nel breve periodo una perdita di consensi per le forze di governo nelle aree meridionali. Nel medio potrebbero maturare le condizioni per cambiare il Titolo V della Costituzione, figlio di un’altra stagione politica. Dal punto di vista delle politiche regionali, infine, non si potrà certo riproporre la Cassa del Mezzogiorno, ma l’opposizione all’autonomia differenziata esprime la richiesta di rafforzare la coesione territoriale e sociale, quindi di aumentare il sostegno alle aree meridionali e alle fasce di popolazione più povere. È peraltro quanto l’Europa ci ha invitato a fare con i fondi del Pnrr. Una prospettiva che a ben guardare conviene a tutti.

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